Per “chiusura temporanea della scuola” s’intende un provvedimento con il quale, per cause di forza maggiore, si preclude l’accesso ai locali dell’edificio scolastico a chiunque, ovvero sia all’utenza (studenti, genitori), sia a tutto il personale che ci lavora, sia a persone esterne, per un arco di tempo stabilito.

Esso si distingue dal provvedimento di sospensione delle lezioni o delle attività didattiche, che comporta, per gli alunni, l’interruzione dell'obbligo dalla frequenza delle lezioni mentre il personale ATA, i docenti o altre persone che collaborano con la scuola, possono accedere all’edifico scolastico, che rimane aperto per le altre eventuali o ordinarie attività d’istituto (ad es. riunioni degli organi collegiali già programmate, servizi amministrativi e ausiliari ecc,)

I soggetti titolari del potere di emissione del provvedimento di chiusura delle scuole con conseguente sospensione del servizio pubblico scolastico, sono: i sindaci, i prefetti e, limitatamente ai casi sotto precisati, i Dirigenti Scolastici o i Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali.

Le competenze dei sindaci e dei prefetti

I sindaci possono adottare provvedimenti contingibili e urgenti di chiusura della scuola per il periodo necessario, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, e nella duplice veste di:

  • rappresentante della comunità locale, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, ai sensi dell’art. 50 del Dlgs 267/2000(Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) e dell’art. 117 del Dlgs 112/1998
  • ufficiale di Governo, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, ai sensi dell’art. 54 del Dlgs 267/2000 e successive modificazioni. I provvedimenti sono tempestivamente   comunicati   al   prefetto   anche ai fini della predisposizione   degli   strumenti   ritenuti necessari alla loro attuazione (ad es. necessità d’intervento della forza pubblica)

Sempre secondo l'art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000, anche i prefetti nei casi contingibili e urgenti, possono intervenire con proprio provvedimento, anche in caso d’inerzia del Sindaco.

Le competenze dei Dirigenti Scolastici

Il dirigente scolastico, ai sensi dell’art. 396, c. 2 lettera l del Dlgs 297/94, tra le funzioni proprie del suo ruolo, in quanto responsabile dell’istituzione scolastica, ha il compito di assumere i provvedimenti di emergenza e quelli richiesti per garantire la sicurezza della scuola. Con la sua individuazione quale datore di lavoro in materia di sicurezza (DM 292/96), la gestione dell’emergenza e le misure per mettere in sicurezza gli studenti e il personale diventano un obbligo anche ai sensi dell’art. 18 del Dlgs 81/08, con tutte le sue implicazioni di carattere organizzativo e documentale, ai fini di un’efficace prevenzione e protezione dai rischi e dagli eventi dannosi.

Il Dirigente scolastico, dunque, può assumere provvedimenti di chiusura temporanea della scuola, ma solo in situazioni assolutamente eccezionali di pericolo concreto ed attuale di grave danno alle persone non altrimenti evitabile, informando immediatamente le autorità competenti, il Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale (che può anch’egli disporre direttamente in tal senso), nonché il Consiglio d’Istituto per le materie attinenti alla sua competenza (C.M. n. 177/1975 e CM 153/1987).

Si tratta, ovviamente, per il Dirigente Scolastico, di una decisione delicata, da prendere valutando attentamente la presenza degli elementi oggettivi di cui sopra, possibilmente avvalendosi del supporto e della consulenza del Responsabile e dei componenti del Servizio di Prevenzione e Protezione dai Rischi, per non incorrere nel reato di interruzione di pubblico servizio di cui all’art. 331 c.p. e in responsabilità patrimoniale per danno erariale, a seguito della mancata prestazione del servizio del personale scolastico che, in quanto impossibilitato per cause di forza maggiore, conserva il diritto alla retribuzione (art.1256 del Codice Civile).

Al di fuori delle situazioni di eccezionalità, ma comunque in caso di emergenza, il dirigente scolastico deve sempre e preventivamente richiedere l’intervento delle autorità territorialmente competenti come sopra indicate, affinché procedano a valutare ed eventualmente adottare i provvedimenti di chiusura temporanea.

Esempi ricorrenti di causa di forza maggiore sono quelli relativi ad avverse condizioni atmosferiche,come intense nevicate o alluvioni. In questi casi si è verificato che alcuni sindaci abbiano disposto l’intera chiusura delle scuole, altri abbiano previsto la sola sospensione delle lezioni che, come abbiamo visto sopra, non preclude l’accesso a scuola del personale.

La sospensione delle lezioni è un provvedimento attribuito anche alle Province (per le scuole secondarie superiori) e ai Comuni (per le scuole dei gradi inferiori), ai sensi dell’art. 139 del Dlgs di 112/1998 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), sempre in presenza di in casi gravi e urgenti.

La scelta di non chiudere la scuola, limitando il provvedimento di emergenza alla sospensione delle lezioni, presuppone che vi siano, per il personale in servizio, le garanzie di tutela dai rischi per la salute e sicurezza quali ad esempio: edifici riscaldati, ingressi sgombri da ghiaccio e neve, delimitazioni o chiusura delle zone o spazi pericolosi ecc., di cui non sempre gli Enti Proprietari degli edifici scolastici tengono conto. Sarà quindi cura del Dirigente Scolastico intervenire per le opportune segnalazioni e richieste (al Comune o alla Provincia in base all’ordine di scuola), e per le misure compensative di messa in sicurezza, astenendosi comunque “salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato”(art. 18, c. 1. m Dlgs 81/08).

Per quanto riguarda l’obbligo di cui al Dlgs 297 art. 74 c.3 (numero minimo annuale di giorni di lezione) la nota MIUR n. 1000 del 2012 ha chiarito che nel caso in cui si verifichino eventi imprevedibili e straordinari che inducano i Sindaci ad adottare ordinanze di chiusura delle sedi scolastiche, in modo tale da comportare la discesa dei giorni di lezione al di sotto del limite dei 200, si deve ritenere che è fatta comunque salva la validità dell'anno scolastico.

Gli organi collegiali della scuola esprimono la loro volontà attraverso la deliberazione. Non bisogna dimenticare che nella scuola autonoma, la rilevanza delle decisioni assunte, con riferimento all’attività istituzionale, è di notevole entità, poiché sostanzia quello spazio di discrezionalità portato, appunto dall’attribuzione dell’autonomia. Non v’è dubbio che al governo della scuola sono prepostitre soggetti, il consiglio, il collegio dei docenti e il dirigente, ognuno dei quali svolge funzioni diverse, ma tutti e tre concorrono a mettere in azione la volontà dell’istituzione. Mentre il dirigente pone in essere atti amministrativi o di carattere civilistico, gli organi collegiali devono formare e successivamente esplicitare la loro volontà attraverso il procedimento deliberativo.

Con riferimento alla scuola accenniamo alla funzione dirigenziale di dare esecuzione alle delibere degli organi collegiali.

Dal punto di vista dommatico, ponendo attenzione al procedimento di formazione dell’atto collegiale, la deliberazione è stata intesa, innanzitutto, come la “fase dell’iter di formazione dell’atto collegiale…in cui si determina il contenuto di esso”, sia facendo riferimento alla successione delle fasi del procedimento, sia alla funzione di “unificazione della volontà dei membri del collegio o di meccanismo di imputazione al collegio della volontà di una parte di questi membri”.

Ma la deliberazione, sia come modalità collegiale di formazione di un atto, sia come atto collegiale, costituisce un unicum visto in itinere o nel risultato. Vista come procedimento, la deliberazione costituisce l’iter di formazione dell’atto collegiale nella quale si determina il suo contenuto. Il procedimento consta di quattro fasi: proposta, discussione, voto, proclamazione. Una volta insediato formalmente il collegio, il presidente che ha la funzione di dirigere i lavori, sottopone al collegio i singoli argomenti posti all’ordine del giorno, secondo l’ordine stabilito. Degli argomenti ogni singolo componente dovrebbe essere già a conoscenza. Nell’istituzione scolastica la complessità delle attività e la complessità strutturale degli organi collegiali richiederebbero una predisposizione del flusso decisionale strutturata in modo tale da addivenire in tempi contenuti alla conclusione dell’iter. Molte scuole utilizzano già una pre-informazione ai componenti l’organo collegiale sulle tematiche oggetto di trattazione, sulle quali ognuno si esprime in anticipo e permette al presidente di trarne conclusioni ed orientamenti nella proposta decisionale.

Su ogni punto di discussione il presidente o un altro membro dell’organo collegiale presenta una sua proposta di deliberazione sulla quale si apre la discussione. Ciascun componente può prendere la parola ed esprimere il suo parere, ma può anche avvenire che la discussione preceda la proposta di deliberazione. Per la regolazione temporale della discussione si può fissare un termine regolamentare; in caso contrario è il presidente che, considerata esaurita la discussione e sufficiente ai fini della maturazione della volontà collegiale, la dichiara conclusa e mette ai voti la proposta. Nel caso in cui le proposte siano più d’una egli stabilisce un ordine secondo criteri obiettivi. Sullo stesso ordine, nel caso non via accordo, il dirigente può far esprimere l’organo collegiale.

Su ogni singola proposta ogni membro dell’organo collegiale esprimerà il proprio voto palese o segreto secondo le disposizioni di legge; in mancanza secondo quanto stabilito dal presidente e in caso di disaccordo secondo quanto stabilito dallo stesso organo con voto palese. A scrutinio segreto vanno adottate le deliberazioni che riguardano persone30.. La proposta si struttura in deliberazione dell’organo collegiale dopo l’espressione favorevole dei membri presenti, nel numero previsto dalle disposizioni normative che è variabile secondo del tipo di organo collegiale della deliberazione da adottare. Si tratta del quorum funzionale.

Nell’istituzione scolastica la norma di riferimento per il procedimento deliberativo è l’art. 37 TU (d.lgs n. 297/94). Al comma due, ai fini della valida costituzione dell’organo collegiale, è previsto che “Per la validità dell'adunanza del collegio dei docenti, del consiglio di circolo e di istituto, del consiglio scolastico distrettuale, del consiglio scolastico provinciale e relative sezioni, del Consiglio nazionale della pubblica istruzione e relativi comitati, nonché delle rispettive giunte, è richiesta la presenza di almeno la metà più uno dei componenti in carica”.

Il comma successivo prevede il quorum funzionale “Le deliberazioni sono adottate a maggioranza assoluta dei voti validamente espressi, salvo che disposizioni speciali prescrivano diversamente. In caso di parità, prevale il voto del presidente”.

Durante la votazione i membri possono astenersi dall’esprimere il proprio voto. Normalmente il membro astenuto è considerato assente in quel momento della seduta collegiale, pertanto non viene computato tra i votanti. In questo caso, va modificato, ove possibile il quorum funzionale. Nel caso sia richiesta, per quel tipo di votazione, la maggioranza assoluta, l’astensione non è ammessa. Ciò dà conto della non ammissione dell’astensione nei collegi perfetti.

Nell’istituzione scolastica, in particolare nel collegio dei docenti, l’aspetto dell’astensione è molto delicato poiché non si tratta di decisioni che investono l’amministrazione scolastica strictusensu, ma hanno contenuti di natura tecnico professionale. Ciò non rende giustizia dell’astensione in un contesto di professional che devono avere a cuore la mission educativa e formativa dell’allievo. Un accordo professionale potrebbe regolare l’uso dello strumento dell’astensione che non dà conto di posizioni tecnico professionali che dovrebbero costituire l’ossatura motivazionale del collegio.

I lavori dell’organo collegiale si svolgono alla presenza esclusivamente dei membri del collegio. La presenza di estranei vizierebbe nella legittimità la deliberazione, a meno che di persone che svolgono attività servente, burocratica e tecnica. Pensiamo, nella scuola, al direttore sga che partecipa ad un collegio dei docenti, o ad un rappresentante dell’ente locale che partecipa ad un consiglio di istituto.

L’attività collegiale va verbalizzata a cura di un membro del l’organo collegiale appositamente designato come segretario, attraverso la descrizione della discussione; trascrive integralmente il contenuto letterale di ciascuna deliberazione così come si è formata. Negli organi collegiali il verbale produce certezza pubblica; da qui la responsabilità del segretario.

Nella scuola la verbalizzazione viene richiamata nel CCNL 1998-2000, art. 10, che dà indicazioni sulle modalità di verbalizzare le attività degli organi collegiali. Dice, infatti, il secondo comma “Allo scopo di realizzare un sistema che coniughi efficienza ed efficacia del servizio e la trasparenza amministrativa in tutte le strutture scolastiche i responsabili delle medesime sono tenuti ad adottare i comportamenti di cui ai commi seguenti. I responsabili delle strutture scolastiche sono tenuti a compiere gli atti formali necessari per eliminare le fiscalità burocratiche che aggravano l'adempimento degli obblighi dei dipendenti.Al medesimo scopo deve essere privilegiata la comunicazione verbale nell'ambito degli organi collegiali, contenendone la verbalizzazione entro il limite strettamente indispensabile e deve essere data integrale attuazione alla normativa in materia di semplificazione e trasparenza amministrativa”.

Certamente la volontà delle parti da mettere in rilievo è l’aderenza ai principi della trasparenza, prima, e della semplificazione, poi. “Il limite strettamente indispensabile” va subordinato all’osservanza dei due principi prima enunciati. Il Consiglio di Stato si è pronunciato in merito ed ha rilevato che nel procedere alla verbalizzazione della seduta di un organo collegiale non è necessario che siano indicate e trascritte minuziosamente le opinioni espresse dai singoli soggetti intervenuti nella discussione, essendo sufficiente che siano riportate, anche in maniera stringata e sintetica, tutte le attività ed operazioni compiute).

Spesso qualcuno eccepisce la discrasia tra l’adunanza e il momento dell’approvazione del verbale, che solitamente viene redatto tra una seduta e l’altra dell’organo collegiale scolastico. E da riconoscere la legittimità della redazione di un processo verbale sulla scorta di appunti trascritti nel corso di una seduta, redatto successivamente è importante che nella verbalizzazione risultino chiari gli elementi che consentono di affermare che la decisione è stata assunta secondo le prescrizioni normative.

Ma l’aspetto più interessante all’interno del procedimento di formazione della volontà è senz’altro rappresentato dai meccanismi di fusione delle singole volontà in un’unica volontà e di imputazione di essa all’organo collegiale. Come afferma lo stesso Nigro, questa fusione rimane un mistero. Alcuni autori, in dottrina, distinguono il processo di fusione e imputazione della volontà collegiale in due fasi: la prima costituita dalla formazione della volontà della maggioranza, la seconda dalla formazione della volontà del collegio. La deliberazione viene considerata come la prima tappa che si conclude con la formazione della volontà di maggioranza ed è preliminare ed autonoma rispetto alla vera nascita e costituzione dell’atto collegiale, costituito dalla proclamazione del presidente, che costituisce all’esterno la delibera collegiale.

Diciamo subito che sull’argomento il MIUR non ha fornito specifiche indicazioni, tranne quelle date con la Circolare n. 5 del 29/05/1998. Pertanto la risposta può essere data solo sulla base di interpretazioni di tale documento e dalle norme generali che regolano la problematica in discussione.

Intanto la Circolare subito ricorda che:

  • “… per i dipendenti pubblici vige il divieto di svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o preventivamente autorizzati dalle amministrazioni alle quali organicamente appartengono …”;
  • è fatto obbligo “… alle Amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, agli enti pubblici economici e ai sog-getti privati che intendono conferire incarichi retribuiti a di-pendenti pubblici, di richiedere preventivamente l’autorizzazione alle Amministrazioni di appartenenza dei di-pendenti stessi …”;
  • gli stessi soggetti pubblici e privati hanno l’obbligo di comunicare all’Anagrafe delle prestazioni (entro il 30 aprile di ogni anno) e alle Amministrazioni di appartenenza i dati relativi ai compensi erogati nell’anno precedente per lo svolgimento degli incarichi conferiti a dipendenti pubblici.

Sempre secondo la Circolare la legge prevede delle esclusio-ni, alcune soggettive ed altre oggettive. Le prime riguardano: i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con presta-zione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, i docenti universitari e i ricercatori a tempo definito, i professori della scuola statale iscritti agli albi professionali e autorizzati all’esercizio della libera professione e le altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali.

Le seconde riguardano gli incarichi i cui compensi derivano: dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; dal-la utilizzazione economica, da parte dell’autore o inventore, di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali; dalla partecipazione a convegni e seminari; da prestazioni per le quali è corrisposto solo un rimborso delle spese documentate; da prestazioni per lo svolgimento delle quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o fuori ruolo; da compiti attribuiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita.

La Circolare Ministeriale n. 41 del 2/2/1998 afferma poi che “Tutto il personale appartenente ai ruoli della Pubblica Istruzione (comparto ministero e comparto scuola) è interessato alla rilevazione, nel momento in cui si trova ad espletare un qualunque incarico (anche occasionale ed a titolo gratuito) che esuli dai propri compiti e doveri d'ufficio.”

Alla luce di quanto sopra, in attesa e nella speranza che il MIUR intervenga al più presto a fornire un elenco puntuale de-gli incarichi a livello di Istituto che vanno comunicati all’Anagrafe delle prestazioni, tenendo presente che, come più volte ripetuto, l’incarico di Coordinatore del Consiglio di classe non rientra nei doveri d’ufficio del Docente, noi riteniamo che non debbano essere comunicati all’Anagrafe delle prestazioni i compensi derivanti dal Fondo dell’Istituzione per le attività di insegnamento, per le attività funzionali all’insegnamento e per tutte le attività previste dall’art. 88 del CCNL 29/11/2007.

Al contrario la comunicazione andrebbe fatta invece per tutte le attività retribuite con fondi extra Fondo dell’Istituzione, in quanto fondi di provenienza extra contrattuale.

Una sintesi della normativa di riferimento è la seguente:

  • Legge 412/1991
  • Legge 662/1996
  • DPR 165/2001
  • Circolare n. 5 del 29.05.1998
  • Circolare n. 10 del 16.12.1998
  • Circolare n. 198 del 31.05.2001
  • Legge n. 190/2012

Dunque, per come è stato posto il quesito, si ritiene che la richiesta della RSU non sia legittimamente fondata e andrebbe respinta dal Dirigente Scolastico.

La Corte di Cassazione ha reso pubblica in data 12 settembre 2018 (pronuncia n. 37776 del 2019) un provvedimento di condanna per il dirigente scolastico che avendo disposto un programma eccessivamente generico di presidio anti-infortunistico, abbia omesso la puntuale e dettagliata “mappatura” dei rischi specifici del luogo e di conseguenza le misure di protezione e prevenzione.

Il caso si presenta di particolare interesse per quanto riguarda l’imputabilità della responsabilità, in tal sede sia civile che penale, dal momento che le circostanze del fatto hanno sollevato dubbi circa l’irrogazione di sanzioni al dirigente scolastico così come al responsabile del servizio di protezione e prevenzione. In sintesi, l’incidente è stato determinato dalla caduta di uno studente per circa sette metri di profondità, a causa del passaggio in uno spazio che doveva essere precluso e luchettato, ma diversamente lasciato aperto da un collaboratore scolastico.

I giudici del supremo consesso hanno ravvisato delle violazioni per colpa omissiva in capo alle figure apicali nella predisposizioni di misure preventive i fatti, come quello accaduto, in particolare nella mancata interdizione stabile dell’accesso, del segnale di pericolo, della mancata informazione specifica ai collaboratori scolastici sulle modalità di apertura e chiusura della porta e sui mancati interventi di manutenzione che dovevano essere richiesti alla Provincia.

Il caso interessa l’orizzonte normativo attuale in materia di presidio infortunistico, i quanto le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008 assegnano in capo al dirigente scolastico una responsabilità di natura quasi oggettiva dal momento che è predisposta una sanzione civile di 15.000 € per ciascheduno studente leso e anche pene di carattere penale, la cui comminazione non richiede l’apprezzamento di un nesso causale tra la condotta del preside e il danno arrecato allo studente.

Sul punto infatti si segnala che lo stesso dirigente scolastico, in evidenza di un’intera posizione ricoperta dall’Anp, ha intessuto una serie di segnalazioni nei confronti del legislatore per rivere una normativa, che a conti fatti prescrive un’ineludibile responsabilità anche per eventi che si verificano anche a causa di irregolarità altrui.

Per dare una risposta al caso sarà sufficiente ricordare che l’Incarico di Coordinatore del Consiglio di classe non costituisce un obbligo per il Docente in quanto, come già più volte detto, esso non è previsto da nessuna norma di legge e, più specificamente, non è previsto e regolato né dall’art. 26 relativo alla Funzione docente, né dall’art. 27 relativo al Profilo professionale docente, né dall’art. 28 relativo alle Attività di insegnamento e né dall’art. 29 relativo alle Attività funzionali all’insegnamento, del CCNL 29/11/2007. Pertanto, non essendo l’incarico obbligatorio, ma assolutamente facoltativo, il Docente potrà porre in essere la propria indisponibilità ad accettarlo.

Del resto un qualsiasi incarico aggiuntivo rispetto ai normali obblighi di servizio, tra l’altro neanche previsto dalle norme, richiede necessariamente il consenso dell’interessato.

Qualche Dirigente Scolastico in qualche caso ha ritenuto ricorrere all’ordine di servizio. Non riteniamo percorribile una tale strada sempre per lo stesso motivo e cioè perché l’incarico non rientra tra gli obblighi di servizio tutelati e regolati dal vigente Contratto.

Al contrario, per esempio, non è rinunciabile la funzione di presiedere il Consiglio che il Dirigente delega al Coordinatore o ad altro membro del Consiglio in quanto previsto da una precisa norma dell’ordinamento scolastico che è l’art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 297/1994.

Per gli stessi motivi sin qui esposti i Coordinatori non solo hanno la facoltà di accettare o meno l’incarico, ma una volta accettato potranno rinunciare ad esso e senza la necessità di particolari motivazioni.

Naturalmente da qui discende che nel caso limite in cui nessun docente accettasse l’incarico di Coordinatore della classe, al Dirigente Scolastico non resterebbe altro che provvedere personalmente allo svolgimento della particolare funzione.

Diverso è il caso del Segretario del Consiglio, che invece essendo una figura istituzionalmente prevista dalla legge (art. 5, comma 5, d.lgs. n. 297/1994) non è possibile rifiutare.

Dunque, per come è stato posto il quesito, la richiesta della RSU in questo caso appare fondata, indipendentemente dal fine che nel caso in questione la RSU si prefigge.