1) Gli accordi di rete in ambito scolastico sono disciplinate da quale fonte normativa?

 Gli accordi di rete sono uno strumento giuridico previsto dall'art.7 DPR 275/99 che le scuole possono utilizzare qualora vogliono realizzare attività comuni per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali. Un riferimento agli accordi di reti è anche contenuto nell'art.47 del regolamento di contabilità scolastica di cui al Decreto n.129/2018, in materia di affidamenti ed acquisti. Di accordi di rete parlano anche i commi 70 e 71 della legge n.107/2015

Le parti dell’Accordo di rete sono le istituzioni scolastiche, che possono promuovere tali accordi o aderire ad essi.

I modelli convenzionali previsti dal regolamento dell’autonomia scolastica sono gli accordi di rete, le convenzioni, gli accordi di programma, i consorzi.

Le istituzioni scolastiche, come precisa   l'art. 43, comma 2, del Decreto n.129/2018, avvalendosi della piena autonomia negoziale di cui sono state dotate: “ per il raggiungimento dei propri fini istituzionali possono stipulare convenzioni e contratti, con esclusione dei contratti aleatori e, in genere delle operazioni finanziarie speculative, nonché della partecipazione a società di capitali e società di persone, fatta salva la costituzione e la partecipazione a consorzi, anche costituiti nella forma di società a responsabilità limitata”.

Quindi le istituzioni scolastiche per perseguire i propri fini istituzionali non solo possono stipulare contratti per l'acquisizione di beni e servizi, come tutti i soggetti privati, ma possono anche concludere accordi di collaborazione con altre amministrazioni pubbliche, enti e soggetti privati per ampliare la gamma dei servizi offerti.

Gli accordi di rete, di cui parla l'art. 7 del DPR n.275/99, rientrano negli accordi di collaborazione e consentono alle istituzioni scolastiche sia di promuovere sia di aderire agli accordi di rete per il raggiungimento delle loro finalità istituzionali.

Scopo degli accordi di rete è quello di permettere alle istituzioni scolastiche il raggiungimento delle finalità istituzionali e, quindi perseguire l'interesse pubblico. Si tratta di accordi che come espressamente prevede l'art.7 precitato, hanno per oggetto il coordinamento e la collaborazione in attività di comune interesse facenti capo a determinati progetti.

Un riferimento agli accordi di rete è anche contenuto nell'art.47 del nuovo regolamento di contabilità scolastica di cui al Decreto n.129/2018 che recepisce la disciplina degli accordi di rete tra istituzioni scolastiche, già prevista dalle disposizioni di cui all'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, e dall’articolo 1, commi 70 e 71, della legge 13 luglio 2015, n. 107, quale forma di collaborazione interistituzionale per la gestione comune di funzioni ed attività amministrativo contabili, o di procedure di affidamento di contratti pubblici. Viene in tal senso ribadita la possibilità di effettuare una delega di funzioni al dirigente dell’istituzione scolastica individuata quale “capofila” (ferme restando le specifiche responsabilità di ciascun dirigente, derivanti dall’inosservanza della normativa vigente o dalla disciplina in materia di responsabilità dirigenziale e valutazione della dirigenza). La disposizione mira a raggiungere migliori risultati in termini di recupero di efficienza e di riduzione della spesa in ragione delle economie di scala. Più in particolare, tale disposizione prevede che le scritture contabili delle istituzioni scolastiche restino autonome e separate anche in caso di stipula o adesione ad un accordo di rete.

 

2) Quali possono essere i contenuti dell'accordo di rete

L’accordo di rete è una delle possibilità offerte dall’autonomia che è stata ed è una delle più utilizzate dalle scuole, proprio perché, in base all’oggetto della collaborazione, permette di offrire maggiori e qualificate opportunità formative per gli studenti, ottimizzare risorse finanziarie, strumentali e umane, condividere esperienze, competenze e buone pratiche.

L’oggetto dell’Accordo di rete può riguardare ogni attività coerente con le finalità istituzionali, come esemplificato nei commi 2 e 6 dell’art. 7 del Regolamento dell’autonomia citato. Ad esempio, attività didattiche, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di amministrazione e contabilità, ferma restando l’autonomia dei singoli bilanci, di acquisto di beni e servizi; possono anche essere istituiti laboratori finalizzati alla ricerca didattica e alla sperimentazione,alla documentazione, alla formazione in servizio del personale scolastico, all’orientamento scolastico e professionale.

3) Quali sono le modalità di gestione dell'accordo di rete

Ai sensi dell'art.45, comma 1, lett. f) del Decreto n.129/2018, l’Accordo di rete va deliberato dal Consiglio d’Istituto, così come le altre tipologie di Accordo di collaborazione (Convenzioni, Intese, Consorzi, Accordi di programma). Se l’Accordo prevede attività didattiche, di ricerca sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento, deve essere approvato anche dal Collegio dei docenti, per la parte di propria competenza.

L’Accordo individua l’organo responsabile della gestione delle risorse e del raggiungimento delle finalità del progetto (di solito il dirigente scolastico della scuola individuata quale “capofila”), la sua durata, le sue competenze e i suoi poteri, nonché le risorse finanziarie messe a disposizione dalla rete dalle singole istituzioni scolastiche.

Lo strumento per il necessario coordinamento organizzativo e decisionale è costituito dalla Conferenza di Servizi di cui agli art. 14 e seguenti della legge n. 241/90.

La Conferenza di servizi è uno strumento preordinato ad assicurare l’esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, nonché l’acquisizione di intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche. Va dunque utilizzata per regolare le modalità di convocazione, di partecipazione e decisionali della rete di scuole.

4) Quale disciplina si applica agli accordi di rete

Dall'art.7 del DPR n.275/99 emerge il carattere associativo che si è voluto dare alla “rete di scuole” con la previsione di un fondo comune e con l'individuazione di un soggetto responsabile della gestione delle risorse.

Quindi, c'è da chiedersi quale sia la natura giuridica della “ rete di scuole” al fine di individuare la disciplina giuridica ad essa applicabile per quanto non espressamente regolamentato dalla norma.

Al riguardo, il riferimento per la concreta disciplina degli accordi tra amministrazioni può essere l'art.15 della legge n.241/90, in cui è prevista, in via generale, la possibilità per le pubbliche amministrazioni di “potere concludere tra di loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”.

La disciplina degli Accordi dei rete, pertanto è la seguente:

  • gli accordi devono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto e, dal 30/6/2014 sottoscritti con firma digitale;
  • agli accordi si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili.
  • laddove gli accordi si sostituiscano a provvedimenti amministrativi sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi.
  • le controversie relative alla formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

L'accordo di rete non dà luogo alla costituzione di un nuovo soggetto giuridico, ma determina il conferimento al DS dell'istituzione scolastica «capofila» di poteri di rappresentanza, sostanziale e processuale, ai fini dello svolgimento delle attività e funzioni amministrative oggetto dell’accordo, e ai fini della stipula dei contratti o convenzioni inerenti. Resta inteso che, ai sensi dell’articolo 15, comma 2 bis della legge 241/1990, gli atti di delega debbano essere predisposti con modalità elettroniche.

L’art.28 della legge n.300/1970 prevede la repressione della condotta antisindacale posta in essere in qualsiasi forma dal datore di lavoro riconoscendo agli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali il diritto di chiedere la tutela giurisdizionale degli interessi collettivi violati da tale comportamento.

Si ha l’attività antisindacale tutte le volte in cui l’amministrazione pone in essere un comportamento “diretto ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale, nonché del diritto di sciopero”.

La definizione fornita dall’art.28, come è agevole rilevare, individua il comportamento illegittimo non in base a caratteristiche strutturali di esso, ma in base alla sua idoneità a ledere beni protetti.

E’ vero che la previsione della norma è indeterminata proprio perché il legislatore, consapevole del fatto che nella realtà del conflitto, tra gli interessi aziendali e quelli dei lavoratori, i suddetti beni possano essere lesi in una varietà di modi, non ha voluto tipizzare a priori i comportamenti attraverso una strutturazione della fattispecie normativa tipica e assolutamente determinata.
Dalla copiosa giurisprudenza che si è formata in materia è stata considerata, ad esempio, condotta antisindacale del Dirigente scolastico non dare l'informazione sulle materie previste dal CCNL, impedire o limitare il diritto di sciopero, impedire o limitare il diritto di assemblea, non convocare la RSU o le OO.SS. per la contrattazione integrativa d'istituto, pagare con il fondo d'istituto senza aver fatto alcuna contrattazione, defiggere documenti e materiali sindacali dalla bacheca delle RSU o delle OO.SS., negare l'utilizzo dei permessi sindacali .

Tuttavia, affinché il comportamento datoriale integri gli estremi della condotta antisindacale è necessario che il comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali e che la condotta abbia in concreto limitato la libertà sindacale o il diritto di sciopero (v.cass. 1338/99).

Quindi, affinché vi sia condotta antisindacale da parte del Dirigente Scolastico è necessario :

  • che il comportamento leda gli interessi collettivi di cui sono portatori i sindacati o le RSU;
  • che il comportamento sia in atto o quantomeno sia persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, tale da determinare una restrizione o un ostacolo allo svolgimento dell'attività sindacale.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, cioè la necessità di un elemento intenzionale in capo al datore di lavoro, prendendo atto di un contrasto giurisprudenziale e dottrinario sorto immediatamente dopo l’entrata in vigore dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, deve rilevarsi che è prevalente l’orientamento secondo il quale è sufficiente ad integrare una condotta antisindacale il comportamento oggettivamente idoneo a ledere gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario uno specifico intento lesivo del datore di lavoro.
Inoltre, requisito essenziale dell’azione di cui all’art. 28 Stat.Lav. è l’attualità della condotta antisindacale o il perdurare dei suoi effetti. La Corte di Cassazione ha affermato, al riguardo, che l’attualità non è esclusa dall’esaurirsi della singola azione antisindacale del datore di lavoro, ove il comportamento illegittimo dello stesso risulti persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua natura intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, tale da determinare una restrizione o un ostacolo allo svolgimento dell’attività sindacale (v. Cass. 02.06.1998 n. 5422).
Costituisce espressione di detto principio la possibilità data al giudice di vietare al datore di lavoro, pur in presenza di comportamenti antisindacali ormai esauriti, la ulteriore continuazione di detti comportamenti, ove gli stessi siano espressione di una condotta non meramente episodica, ma destinata oggettivamente a persistere nel tempo con notevoli ripercussioni negative per la libertà e l’attività sindacale.

La condotta antisindacale può essere costituita sia da un atto negoziale (quale può essere un licenziamento per motivi sindacali), sia da un comportamento materiale, quale può essere lo strappo di un manifesto sindacale; inoltre, può consistere, sia in un comportamento attivo, (minacce), sia in un comportamento omissivo (rifiuto di concedere i locali per effettuare una riunione sindacale o la bacheca per le pubblicazioni sindacali).

In ogni caso, l’illegittimità del comportamento prescinde dalla presenza di una esplicita volontà di ledere un diritto sindacale, essendo sufficiente per la sua sussistenza la mera oggettività del comportamento. (Corte di Cassazione, sez un. 12/6/97, n. 5295).

Le controversie inerenti la repressione della condotta antisindacale sono state devolute al giudice del lavoro (art. 63, 3° comma, D.L. n. 165/2001).

Viene in tal modo superato l’art. 28 dello statuto dei lavoratori legge n. 300/1970 che attribuiva alla giurisdizione del giudice ordinario la repressione delle condotte sindacali monoffensive (ossia lesive della sola posizione del sindacato), mentre quelle plurioffensive venivano attribuite rispettivamente alla giurisdizione del giudice amministrativo o al giudice ordinario, a seconda, che il dipendente chiedesse o meno anche l’annullamento dell’atto amministrativo in cui si concretizzava la condotta antisindacale.

Pertanto, il giudice del lavoro, con l’entrata in vigore della nuova riforma, è competente anche per i ricorsi per comportamenti plurioffensivi della P.A. ancorché rivolti alla rimozione dei loro effetti lesivi.

Quando si verifica una controversia con l’amministrazione avente ad oggetto l’attività sindacale, vi sono due possibilità per esercitare la tutela:

  • il ricorso all’organismo di conciliazione, a cui si può rivolgere direttamente anche la RSU, in base alle norme contenute nel contratto quadro in materia di conciliazione ed arbitrato;
  • il ricorso al giudice del lavoro tramite un'organizzazione sindacale di categoria essendo questo tipo di ricorso precluso alla RSU.

La tutela davanti al giudice del lavoro per la repressione della condotta antisindacale si attiva mediante la presentazione di un ricorso.

I soggetti legittimati ad agire e stare in giudizio, ai sensi dell’art.28 dello statuto dei lavoratori legge n. 300/1970, sono unicamente gli “organismi locali delle associazioni nazionali che vi abbiano interesse”, con la esclusione quindi, del singolo lavoratore, degli organismi sindacali nazionali e delle rappresentanze sindacali aziendali.

Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria del Tribunale del luogo ove è stato posto in essere il comportamento antisindacale denunziato. Tale è quello in cui la condotta ha prodotto i suoi effetti a prescindere che la decisione sia stata assunta o comunicata in luogo diverso.

L’art. 28 richiamato non pone alcun termine per proporre il ricorso. Il datore di lavoro convenuto deve costituirsi in giudizio mediante il deposito in cancelleria di una memoria difensiva scritta. L’art. 28 richiamato non stabilisce alcun termine entro cui la memoria deve essere depositata. Per cui il datore di lavoro si ritiene che possa presentare la propria memoria difensiva anche lo stesso giorno dell’udienza direttamente al giudice o presso la cancelleria.

A seguito del ricorso, il giudice, nei due giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga fondato il ricorso, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti di esso.

Contro il decreto è ammesso opposizione, entro 15 giorni dalla comunicazione, davanti allo stesso tribunale.

Questa seconda fase del procedimento non sospende l’efficacia del decreto che non può essere revocato fino alla sentenza con cui il giudice definisce il giudizio.

L’opposizione al decreto introduce un normale processo di cognizione ordinaria.

Pertanto, la parte interessata deve depositare il ricorso presso la cancelleria del Tribunale competente. Il ricorso deve rispondere a tutti i requisiti richiesti dall’art. 414 c.p.c.

In caso di mancata opposizione il decreto passa in giudicato e le sue statuizioni divengono immodificabili.

Il procedimento di opposizione si svolge secondo le regole del processo del lavoro e si conclude con una sentenza contro la quale sarà possibile proporre appello.

Il datore di lavoro che non ottemperi al decreto o alla successiva sentenza è punito, ai sensi dell’art. 650 c.p. con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda fino a € 206,58.

A) Fattispecie di condotte antisindacale trattate dalla giurisprudenza in ambito scolastico

  • Con specifico riferimento alle istituzioni scolastiche si annotano di seguito alcune sentenze di condanna emesse dai tribunali nelle quali è stata ravvisata la condotta antisindacale del dirigente scolastico.
  • Il Tribunale di Pordenone decisione del 27/5/2002, ha ritenuto che ricorrono gli estremi della condotta antisindacale nel caso di mancata informazione preventiva e nel caso di mancato avvio della contrattazione integrativa d’istituto.
  • Tribunale di Venezia, Decreto del 19 aprile 2002 con il quale è stato giudicato antisindacale il comportamento del Dirigente scolastico per non avere fornito l’informazione preventiva in ordine alla proposta di formazione delle classi e di determinazione degli organici della scuola.
  • Tribunale di Bari con sentenza del 7/8/2003 ha dichiarato illegittima l’esclusione dei sindacati provinciali dalla contrattazione di scuola per le sedute relative alla definizione dell’articolato contrattuale e ha deciso, conseguentemente, la nullità del contratto di scuola stipulato in difformità. La sentenza ribadisce, in materia di informazione, l’obbligo per il Dirigente scolastico di fornire l’informazione preventiva e successiva, come previsto dal contratto, ed il giudizio di comportamento antisindacale per i comportamenti difformi;
  • Tribunale di Bari decisione dell' 11/3/2004 con la quale dichiara antisindacale la condotta posta in essere dal dirigente scolastico con riferimento alla omessa convocazione delle RSU per le trattative relative alle materie oggetto di contrattazione integrativa d’istituto ed alla omessa formulazione della conseguente proposta contrattuale; Il Tribunale di Vallo della Lucania 19 maggio 2005, ha giudicato comportamento antisindacale quello del dirigente scolastico per aver omesso l’informazione preventiva e successiva in violazione dell’art. 6 del CCNL.
  • Tribunale di Palermo, 1 aprile 2005, ha dichiarato antisindacale la condotta tenuta dal dirigente scolastico nell’aver adottato il provvedimento di assegnazione dei docenti alle classi, senza aver previamente formulato la propria proposta di contrattazione sulle materie di cui all’art. 6, comma 2, lett. f del CCNL 2003. Pur ammettendo che l’assegnazione dei docenti alle classi costituisce compito esclusivo del dirigente scolastico, come previsto dall’art. 7, comma 7 del D.L. n. 59/04, deve peraltro ritenersi che ogni determinazione al riguardo vada presa comunque nell’ambito dei “criteri e modalità relativi alla organizzazione del lavoro e all’articolazione dell’orario del personale docente, correndosi, altrimenti il rischio che il citato art. 6 comma 2 lettera f finisca per privarsi di significato;
  • Tribunale di Agrigento 26 marzo 2004, condanna per comportamento antisindacale ex art. 28 legge n. 300/70 il dirigente scolastico per aver omesso l’avvio della contrattazione integrativa in tempo per "l’ordinato e tempestivo avvio dell’anno scolastico" (art. 6 cit. punto 4), sia sulle materie che incidono sull’assetto organizzativo, sia sulle altre, in relazione alle quali, in ogni caso, le procedure debbono concludersi "nei tempi congrui per assicurare il tempestivo ed efficace inizio delle lezioni".
  • Tribunale di Lanusei 6 febbraio 2018 ha condannato il dirigente scolastico dell’Istituto Superiore di Lanusei dichiarandone l’antisindacabilità della condotta ed ordinando di adottare ogni misura idonea a garantire un corretto sistema di relazioni sindacali, sia in punto di informazioni necessarie ad un efficiente avvio e sviluppo della contrattazione integrativa, sia in punto di permessi, sia in punto di assemblee, dentro o fuori dal distretto, attenendosi alle vincolanti prescrizioni normative, di legge e contrattuali.
  • Tribunale di Matera 14 maggio 2017, ha condannato il dirigente scolastico di un istituto comprensivo di Matera per non aver attivato secondo modalità e tempi stabiliti dal CCNL la contrattazione integrativa d'istituto.
  • Tribunale di Cuneo 5 maggio 2017 ha condannato per comportamento antisindacale la direzione didattica di un comune in provincia di Cuneo, per la mancata concessione di assemblea sindacale interna, presso la direzione didattica, richiesta dalla RSU e dalla FLC CGIL Cuneo al dirigente scolastico 12 giorni prima della data di svolgimento.
  • Tribunale di Napoli 22 marzo 2017 ha condannato per comportamento antisindacale, il dirigente scolastico del Liceo di Aversa, in violazione del principio di libertà sindacale nei confronti della RSU e cioè in ritorsione al dissenso manifestato dalla RSU contrastando con tutti i principi di libero esercizio dell’attività sindacale nell’istituto.
  • Tribunale di Lecco 17 marzo 2017 ha condannato il dirigente scolastico per la mancata attivazione della contrattazione integrativa secondo i tempi e modalità previsti dal CCNL.
  • -Tribunale di Torino 23 dicembre 2015 ha condannato il dirigente scolastico ai sensi dell’art. 28, legge 20 maggio 1970, n. 300 per aver impedito lo svolgimento di un'assemblea rivolta al personale ATA.

 Conclusa la trattativa si perviene alla firma del contratto integrativo d'istituto. Per la delegazione di parte pubblica firma solo il dirigente, mentre per la delegazione di parte sindacale firmano, ove naturalmente sussiste il consenso sul testo, la RSU (soggetto unitario) e i rappresentanti territoriali delle organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL.

Gli adempimenti successivi alla firma del contratto integrativo sono:

  • la predisposizione di una relazione tecnico - finanziaria da parte del Direttore SGA ed una relazione illustrativa redatta dal Dirigente scolastico che ai sensi dell’art.40, comma 3 sexies del D.L.vo n.165/2001 deve accompagnare il contratto integrativo d‘istituto;
  • il controllo da parte dei revisori dei conti sulla compatibilità finanziaria dell’accordo con i vincoli di bilancio secondo quanto stabilito dall’art. 40 bis, comma 1, D.L.vo n. 165/2001 e dall’art.7, comma 8, del CCNL 2018.
  • la comunicazione per via telematica all’ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) e al CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro)” dell'accordo.

 

 

A) il contenuto delle relazioni che accompagnano il contratto d'istituto

A corredo del contratto integrativo d‘istituto l’art.40, comma 3 sexies del D.L.vo n.165/2001 prevede la predisposizione di una relazione tecnico - finanziaria da parte del Direttore SGA ed una relazione illustrativa redatta dal Dirigente scolastico.

Tali relazioni vengono certificate dai revisori dei conti e si pongono come condizione necessaria per ottenere dallo stesso organo la certificazione di compatibilità finanziaria, prima della definitiva sottoscrizione del contratto integrativo d’istituto.

La richiamata disposizione prevede che tali relazioni vengano predisposte non in forma libera, ma secondo un preciso schema predisposto dal MEF d’intesa con il Dipartimento della funzione pubblica. Con la Circ. n.25 del 19 luglio 2012 la Ragioneria Generale dello Stato, ha pubblicato sul proprio sito web, tali schemi di relazioni, il cui contenuto proviamo di seguito a sintetizzare.

L’obiettivo di tali schemi è quello di uniformare gli atti della contrattazione integrativa per fini informativi e di monitoraggio. Difatti, il D.L.vo n. 165/2001 prevede:

  • la compilazione del Conto Annuale del personale da parte di ciascuna pubblica amministrazione comprensivo, ai sensi dell’art. 40-bis, comma 3, di specifiche informazioni sulla contrattazione integrativa.
  • la pubblicazione, da parte di ciascuna amministrazione, sul proprio sito istituzionale di tali informazioni, ai sensi del comma 4 del medesimo art. 40-bis.

In tale contesto lo schema di relazione illustrativa e lo schema di relazione tecnico-finanziaria si collocano in modo organico, affinché la costituzione dei fondi incentivanti la relativa negoziazione in sede integrativa ed il processo di controllo, siano anch’essi realizzati su basi uniformi e coerenti: nei confronti del pubblico (attraverso la pubblicità sul proprio sito web), nei confronti degli organi di controllo (attraverso appunto la relazione illustrativa e la relazione tecnico-finanziaria basate su “schemi standard”) ed, infine, nei confronti dei soggetti preposti al monitoraggio della contrattazione integrativa - Corte dei Conti, Funzione Pubblica, MEF (attraverso la rilevazione del Conto Annuale).

Gli schemi pubblicati dalla ragioneria Generale dello Stato sono vincolanti e devono essere utilizzati secondo le diverse sezioni in cui sono state articolate.

Gli obiettivi principali delle predette relazioni sono la corretta quantificazione e finalizzazione dell’uso delle risorse, rispetto della compatibilità economico-finanziaria nei limiti di legge e di contratto, nonché la facilitazione delle verifiche da parte degli organi di controllo e la trasparenza nei confronti del cittadino utente. Le relazioni, secondo la vigente normativa, sono finalizzate:

  • a supportare la delegazione trattante di parte pubblica con uno strumento uniforme di esplicitazione e valutazione dei contenuti del contratto sottoposto a certificazione;
  • a supportare gli organi di controllo con un omogeneo piano di verifica della certificazione degli atti della contrattazione integrativa, rendendo organici e sequenziali i diversi aspetti del controllo;
  • a fornire al cittadino/utente, che ha accesso a tali atti nella sezione trasparenza del sito web delle diverse Amministrazioni, la piena visibilità e confrontabilità dei contenuti esplicativi degli accordi stipulati in sede integrativa.

Gli schemi predisposti dalla Ragioneria dello Stato sono stati articolati in moduli, a loro volta divisi in sezioni, che possono essere eventualmente dettagliate in voci e sotto voci.

L’organizzazione in forma modulare degli schemi consente di completare i moduli / sezioni / voci e sottovoci pertinenti al contratto integrativo, senza però cancellare le voci ritenute irrilevanti per lo specifico contratto integrativo oggetto di esame. Le parti ritenute non pertinenti, infatti, non dovranno essere cancellate, ma devono essere comunque presenti nella relazione illustrativa e nella relazione tecnico-finanziaria, anche se completate dalla formula “parte non pertinente allo specifico accordo illustrato”.

Spetta infatti all’Orga­no di controllo valutare anche la coerenza delle sezioni omesse.

Giova evidenziare che gli schemi di relazione predisposti dalla Ragioneria generale dello stato erano state elaborate sulla base delle disposizioni contenute nel d.l.gs n.150/2009. Ora tale decreto è stato modificato in modo sostanziale in varie parti dal d.l.gs n.74/2017, per cui alcune parti delle relazioni non sono più attuali e perciò non se ne deve tenere conto.

 

B) Il controllo sulla contrattazione

Successivamente alla firma, che può essere considerata come una pre - intesa deve intervenire il controllo sulla compatibilità finanziaria dell’accordo con i vincoli di bilancio secondo quanto stabilito dall’art. 40 bis, comma 1, D.L.vo n. 165/2001 e dall’art.7, comma 8, del CCNL 2018.

I contratti integrativi stipulati dal Dirigente scolastico e dalle rappresentanze sindacali RSU, prima di diventare esecutivi, devono ottenere il parere di compatibilità finanziaria con i vincoli derivanti dal contratto collettivo nazionale e dal bilancio. Tale controllo è esercitato dai revisori dei conti.

Il dirigente scolastico deve trasmettere ai revisori, entro dieci giorni, l’ipotesi di accordo, corredata da una specifica relazione tecnico - finanziaria redatta dal Direttore sga, recante l’illustrazione delle diverse causali di spesa previste nel contratto integrativo e delle relative modalità di copertura, nonché una relazione illustrativa, a cura dello stesso dirigente, in cui si evidenzi il rispetto dei criteri e principi inderogabili stabiliti dalla legge e gli effetti attesi dalla contrattazione in materia di produttività ed efficienza dei servizi erogati, anche in relazione alle richieste dei cittadini.

I revisori dei conti effettuano il controllo sulla compatibilità dei costi della contrattazione con i vincoli di bilancio e quelli derivanti dalle norme di legge, con particolare riferimento alle disposizioni inderogabili che incidono sulla misura e sulla corresponsione dei trattamenti accessori e rendono la relativa certificazione degli oneri.

Ai revisori dei conti non è data la possibilità di entrare nel merito delle scelte operate dalla contrattazione, vale a dire su come sono state destinate le risorse. Il campo di azione dei revisori, per non vanificare l’autonomia contrattuale, è ristretto alla verifica sulla compatibilità economica e finanziaria dei costi con i vincoli di bilancio e alla verifica in ordine al rispetto dei vincoli derivanti da norme di legge che per espressa disposizione legislativa sono definite “imperative” e, quindi, inderogabili da tutti i livelli contrattuali.

I revisori non approvano il contratto, ma certificano la compatibilità economico- finanziaria (C.M. n. 109 del 2001 e nota ministeriale del 27 luglio 2001).

I revisori forniscono, quindi, un parere motivato in materia di certificazione dei costi del contratto integrativo, che sotto il profilo formale si atteggia come controllo sulla “legalità” finanziaria dell’accordo integrativo.

Se il parere è favorevole si procede alla definitiva firma del contratto. Se il parere non è favorevole, vale a dire che, i revisori certificano che talune delle clausole comportano oneri non previsti, il dirigente comunica tempestivamente tali rilievi alle organizzazioni sindacali ai fini della riapertura delle trattative che devono essere riprese entro cinque giorni.

Il parere dei revisori deve essere dato entro 15 giorni dalla comunicazione dell’accordo.

Trascorso inutilmente tale termine, senza che siano stati comunicati rilievi, si può procedere alla sottoscrizione definitiva del contratto integrativo. Da tale data il contratto integrativo diventa efficace e produttivo di effetti.

C) La comunicazione dell’accordo

L’art. 40 bis del D.L.vo n. 165/2001 quale risulta modificato dell’art. 55 del D.L.vo 27.10.2009 n. 150 al comma 5 testualmente prevede: “ai fini dell’articolo 46, comma 4, le pubbliche amministrazioni sono tenute a trasmettere all’ARAN, per via telematica, entro cinque giorni dalla sottoscrizione, il testo contrattuale con l’allegata relazione tecnico-finanziaria ed illustrativa e con l’indicazione delle modalità di copertura dei relativi oneri con riferimento agli strumenti annuali e pluriennali di bilancio. I predetti testi contrattuali sono altresì trasmessi al CNEL”.

La richiamata disposizione prevede l’obbligo per le “pubbliche amministrazioni” di trasmettere per via telematica all’ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) e al CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro)” il testo contrattuale (della contrattazione integrativa) con l’allegata relazione tecnico – finanziaria e illustrativa e con l’indicazione delle modalità di copertura dei relativi oneri.”

Pertanto, le istituzioni scolastiche, in quanto amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’art. 1 comma 2 del Dlgs 165/2001, sono tenute ad inviare all’ARAN e al CNEL i propri contratti integrativi d’istituto, previsti dall’art. 7 del vigente CCNL del 19/4/2018.

L’ARAN, con un comunicato del 17 marzo 2010, ha informato le pubbliche amministrazioni di aver attivato una specifica casella di posta elettronica certificata (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) alla quale trasmettere la documentazione richiesta dalla legge.

Qualora le istituzioni scolastiche non disponessero ancora di casella di posta elettronica certificata, l’invio all’ARAN potrà essere effettuato all’indirizzo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Anche il CNEL ha attivato la specifica casella di posta elettronica Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. alla quale fare riferimento per questo adempimento.

Si fa ancora presente come il citato art. 40 bis comma 5 si ponga quale norma per il raggiungimento delle finalità dell’art. 46 comma 4 del d.lgs 165/2001 di cui ad ogni buon fine si trascrive il testo: “l’ARAN effettua il monitoraggio sull’applicazione dei contratti collettivi nazionali e sulla contrattazione collettiva integrativa e presenta annualmente al Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero dell’economia e delle finanze nonché ai comitati di settore, un rapporto in cui verifica l’effettività e la congruenza della ripartizione fra le materie regolate dalla legge, quelle di competenza della contrattazione nazionale e quelle di competenza dei contratti integrativi nonché le principali criticità emerse in sede di contrattazione nazionale e integrativa.”

Si richiama infine l’attenzione sulle pesanti conseguenze in caso di mancato adempimento alle prescrizioni del citato art. 40 bis comma 5 previste dall’art. 7 di cui di seguito si trascrive il testo:

In caso di mancato adempimento delle prescrizioni del presente articolo, oltre alle sanzioni previste dall’art. 60,comma 2, è fatto divieto alle amministrazioni di procedere a qualsiasi adeguamento delle risorse destinate alla contrattazione integrativa. Gli organi di controllo previsti dal comma 1 vigilano sulla corretta applicazione delle disposizioni del presente articolo.”

Gli Organi collegiali della scuola, e quindi anche il Consiglio di classe, non sono in quanto tali gerarchicamente subordinati ad altri soggetti. Pertanto i loro atti, quali sono per esempio le deliberazioni del Consiglio di classe negli scrutini finali, sono definitivi e non possono essere impugnati davanti all’Organo gerarchicamente superiore (né Dirigente Scolastico, né Direttore USR, né Ministro). É ammesso, ma solo se espressamente previsto dalla norma interessata, unicamente il ricorso gerarchico improprio, come per esempio il ricorso contro le decisioni del Consiglio di classe in materia disciplinare.

Negli altri casi, se non è espressamente previsto il ricorso gerarchico improprio, è ammesso il ricorso straordinario al Capo dello Stato o giurisdizionale al TAR da parte di chi (Alunno, Genitori, Docenti) ritiene di essere stato leso dall’atto dell’Organo collegiale. Non ha dunque alcun significato, sotto questo punto di vista, un mero reclamo scritto al Dirigente Scolastico.

L’aver richiesto poi una ispezione da parte del Dirigente Scolastico al Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale e la mancata disposizione dell’ispezione da parte del Direttore stesso non comporta alcuna responsabilità per quest’ultimo, in quanto una tale ispezione non avrebbe in nessun modo potuto intervenire sulla deliberazione del Consiglio di classe in merito all’ammissione dell’alunno, essendo questa, come già più volte ribadito, di esclusiva competenza del Consiglio di classe e impugnabile solo innanzi al Capo dello Stato o al TAR e, quindi, confermata o annullata solo in sede di giudizio avanti al Capo dello Stato o al TAR.

Per tali ragioni la totale responsabilità per quanto deliberato è solo ed esclusivamente in capo al Consiglio di classe, che risponderebbe nella eventualità di soccombenza in giudizio. Infatti, la responsabilità amministrativa, nel caso di decisioni disposte dagli Organi collegiali e ritenute illegittime dall’Organo giudicante, con effetti dannosi sullo Stato, ricade in solido su tutti i componenti dell’Organo collegiale (e quindi anche sul Dirigente Scolastico) che hanno partecipato alla determinazione dell’atto impugnato, con esclusione di tutti coloro che hanno fatto constare a verbale il proprio dissenso (di qui, ovviamente, l’importanza di riportare a verbale tutto quanto ha contribuito alla deliberazione in parola).

La pubblica amministrazione, al pari di qualsiasi altro soggetto, in virtù del principio generale della “neminen laedere”, cioè del dovere giuridico di non ledere l’altrui sfera giuridica è soggetta alla responsabilità civile per i danni arrecati ai terzi dall'attività illegittima dei propri dipendenti. La responsabilità civile si concreta nel dovere giuridico posto a carico dell'autore del danno di risarcire il danno stesso (art.2043 cod. civ.).

La responsabilità della pubblica amministrazione è sancita dall'art. 28 della Costituzione che stabilisce: " i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, negli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità si estende allo Stato e agli enti pubblici".

La norma costituzionale testé citata ha trovato applicazione nell'art. 22 del T.U. sugli impiegati civili dello Stato approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 in cui si dispone che gli impiegati dello Stato rispondono personalmente dei danni arrecati ai terzi, per dolo o colpa grave, in violazione di diritti soggettivi e degli interessi legittimi.

Da rilevare che la risarcibilità degli interessi legittimi è di recente introduzione. Infatti, è stata la Corte di Cassazione a sezioni unite con la decisione n.500 del 22/7/1999 ad ammettere la risarcibilità del danno derivante dalla lesione di interessi legittimi, mentre in passato la risarcibilità era ammessa solo per la lesione di diritti soggettivi. Il principio è stato successivamente positivizzato dall'art.7 della legge 21/7/2000, n.205.

La responsabilità della pubblica amministrazione si basa sugli stessi principi del diritto privato. Elementi costitutivi di essa sono: la violazione di un obbligo; il danno; l'imputabilità.

1)La violazione di un obbligo: Il dipendente deve aver attuato con un'azione o un'omissione, un comportamento contrario ai propri obblighi di servizio dal quale è derivato un danno per il terzo.

L'azione si concreta in un atto amministrativo dalla cui emanazione il dipendente avrebbe dovuto astenersi. L'atto amministrativo (secondo il Sandulli) di per sé non è idoneo ad integrare gli estremi della violazione del diritto perché l'atto può essere illegittimo, ma non illecito. Illecito può essere solo un fatto. Il danno, pertanto, molto spesso è dovuto non all’emanazione, ma alla esecuzione dell'atto.

L'omissione è, invece, un comportamento negativo e può consistere, tanto nell'omissione, quanto nel ritardo ingiustificato di un atto o di un'operazione, al cui compimento il dipendente è tenuto per disposizione di legge o di regolamento.

L'omissione deve essere fatta constatare da parte di chi vi abbia interesse mediante diffida notificata al dipendente e all'amministrazione, prima di iniziare l'azione di responsabilità. E' solo dopo l'inutile decorso di trenta giorni dalla notificazione della diffida il terzo può proporre l'azione di risarcimento.

In ogni caso perché sussista la responsabilità è necessario che il danno sia stato arrecato nell'effettivo esercizio delle funzioni affidate al dipendente da disposizioni di legge o regolamenti.

2) Il danno: Il danno deve consistere nella lesione di un diritto soggettivo o interesse legittimo. Il danno deve inoltre essere conseguenza immediata e diretta del comportamento omissivo o commissivo del dipendente. Nella valutazione del danno si tiene conto sia della perdita subita dal terzo (danno emergente) sia dell'eventuale mancato guadagno (lucro cessante).

3) L'imputabilità: L'azione o l'omissione devono essere imputabili al dipendente a titolo di dolo o colpa grave; non si risponde per colpa lieve o lievissima.

L'azione di risarcimento da parte del terzo danneggiato può essere esercitata direttamente nei confronti del dipendente ovvero congiuntamente con l'azione diretta nei confronti dell'amministrazione. Si ricorda, infatti, che ai sensi dell'art. 28 della Costituzione la responsabilità, per gli atti compiuti dai dipendenti per la violazione dei diritti, si estende allo Stato.

Secondo la dottrina la responsabilità della pubblica amministrazione rispetto a quella dei propri dipendenti è in relazione di solidarietà e concorrenza alternativa, nel senso che il terzo danneggiato può rivolgersi sia all'amministrazione, sia al dipendente. La richiesta di risarcimento all'uno esclude analoga richiesta all'altro.

Nel caso di fatto dannoso dell’allievo è esclusa l’azione civile diretta dell’insegnante, poiché è l’amministrazione ad avere la legittimazione passiva (art.61 legge n.312/80).

Se il terzo ottiene il risarcimento da parte dell'amministrazione questa potrà, a sua volta, rivalersi nei confronti del dipendente, se ha avuto un comportamento connotato da dolo o colpa grave.

La responsabilità dell'amministrazione è esclusa quando l'attività illegittima del dipendente è tale da far venire meno il rapporto organico che lo lega allo Stato. Ciò si verifica quando il dipendente faccia uso delle proprie attribuzioni per raggiungere un fine di personale interesse in nessun modo riferibile alla pubblica amministrazione così come accade, ad esempio, nei reati di corruzione, di concussione, peculato ecc..

La responsabilità civile dei pubblici dipendenti verso i terzi è informata al principio sancito dall'art. 2055 del codice civile, per cui in caso di più corresponsabili, tutti saranno tenuti in solido al risarcimento pur se il giudice ordinario (competente in materia di responsabilità civile), nella sua prudente discrezionalità potrà, nell'ipotesi della diversa gravità delle colpe, graduare proporzionalmente le conseguenze a carico di ciascuno.