L’art.28 della legge n.300/1970 prevede la repressione della condotta antisindacale posta in essere in qualsiasi forma dal datore di lavoro riconoscendo agli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali il diritto di chiedere la tutela giurisdizionale degli interessi collettivi violati da tale comportamento.
Si ha l’attività antisindacale tutte le volte in cui l’amministrazione pone in essere un comportamento “diretto ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale, nonché del diritto di sciopero”.
La definizione fornita dall’art.28, come è agevole rilevare, individua il comportamento illegittimo non in base a caratteristiche strutturali di esso, ma in base alla sua idoneità a ledere beni protetti.
E’ vero che la previsione della norma è indeterminata proprio perché il legislatore, consapevole del fatto che nella realtà del conflitto, tra gli interessi aziendali e quelli dei lavoratori, i suddetti beni possano essere lesi in una varietà di modi, non ha voluto tipizzare a priori i comportamenti attraverso una strutturazione della fattispecie normativa tipica e assolutamente determinata.
Dalla copiosa giurisprudenza che si è formata in materia è stata considerata, ad esempio, condotta antisindacale del Dirigente scolastico non dare l'informazione sulle materie previste dal CCNL, impedire o limitare il diritto di sciopero, impedire o limitare il diritto di assemblea, non convocare la RSU o le OO.SS. per la contrattazione integrativa d'istituto, pagare con il fondo d'istituto senza aver fatto alcuna contrattazione, defiggere documenti e materiali sindacali dalla bacheca delle RSU o delle OO.SS., negare l'utilizzo dei permessi sindacali .
Tuttavia, affinché il comportamento datoriale integri gli estremi della condotta antisindacale è necessario che il comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali e che la condotta abbia in concreto limitato la libertà sindacale o il diritto di sciopero (v.cass. 1338/99).
Quindi, affinché vi sia condotta antisindacale da parte del Dirigente Scolastico è necessario :
- che il comportamento leda gli interessi collettivi di cui sono portatori i sindacati o le RSU;
- che il comportamento sia in atto o quantomeno sia persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, tale da determinare una restrizione o un ostacolo allo svolgimento dell'attività sindacale.
Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, cioè la necessità di un elemento intenzionale in capo al datore di lavoro, prendendo atto di un contrasto giurisprudenziale e dottrinario sorto immediatamente dopo l’entrata in vigore dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, deve rilevarsi che è prevalente l’orientamento secondo il quale è sufficiente ad integrare una condotta antisindacale il comportamento oggettivamente idoneo a ledere gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario uno specifico intento lesivo del datore di lavoro.
Inoltre, requisito essenziale dell’azione di cui all’art. 28 Stat.Lav. è l’attualità della condotta antisindacale o il perdurare dei suoi effetti. La Corte di Cassazione ha affermato, al riguardo, che l’attualità non è esclusa dall’esaurirsi della singola azione antisindacale del datore di lavoro, ove il comportamento illegittimo dello stesso risulti persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua natura intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, tale da determinare una restrizione o un ostacolo allo svolgimento dell’attività sindacale (v. Cass. 02.06.1998 n. 5422).
Costituisce espressione di detto principio la possibilità data al giudice di vietare al datore di lavoro, pur in presenza di comportamenti antisindacali ormai esauriti, la ulteriore continuazione di detti comportamenti, ove gli stessi siano espressione di una condotta non meramente episodica, ma destinata oggettivamente a persistere nel tempo con notevoli ripercussioni negative per la libertà e l’attività sindacale.
La condotta antisindacale può essere costituita sia da un atto negoziale (quale può essere un licenziamento per motivi sindacali), sia da un comportamento materiale, quale può essere lo strappo di un manifesto sindacale; inoltre, può consistere, sia in un comportamento attivo, (minacce), sia in un comportamento omissivo (rifiuto di concedere i locali per effettuare una riunione sindacale o la bacheca per le pubblicazioni sindacali).
In ogni caso, l’illegittimità del comportamento prescinde dalla presenza di una esplicita volontà di ledere un diritto sindacale, essendo sufficiente per la sua sussistenza la mera oggettività del comportamento. (Corte di Cassazione, sez un. 12/6/97, n. 5295).
Le controversie inerenti la repressione della condotta antisindacale sono state devolute al giudice del lavoro (art. 63, 3° comma, D.L. n. 165/2001).
Viene in tal modo superato l’art. 28 dello statuto dei lavoratori legge n. 300/1970 che attribuiva alla giurisdizione del giudice ordinario la repressione delle condotte sindacali monoffensive (ossia lesive della sola posizione del sindacato), mentre quelle plurioffensive venivano attribuite rispettivamente alla giurisdizione del giudice amministrativo o al giudice ordinario, a seconda, che il dipendente chiedesse o meno anche l’annullamento dell’atto amministrativo in cui si concretizzava la condotta antisindacale.
Pertanto, il giudice del lavoro, con l’entrata in vigore della nuova riforma, è competente anche per i ricorsi per comportamenti plurioffensivi della P.A. ancorché rivolti alla rimozione dei loro effetti lesivi.
Quando si verifica una controversia con l’amministrazione avente ad oggetto l’attività sindacale, vi sono due possibilità per esercitare la tutela:
- il ricorso all’organismo di conciliazione, a cui si può rivolgere direttamente anche la RSU, in base alle norme contenute nel contratto quadro in materia di conciliazione ed arbitrato;
- il ricorso al giudice del lavoro tramite un'organizzazione sindacale di categoria essendo questo tipo di ricorso precluso alla RSU.
La tutela davanti al giudice del lavoro per la repressione della condotta antisindacale si attiva mediante la presentazione di un ricorso.
I soggetti legittimati ad agire e stare in giudizio, ai sensi dell’art.28 dello statuto dei lavoratori legge n. 300/1970, sono unicamente gli “organismi locali delle associazioni nazionali che vi abbiano interesse”, con la esclusione quindi, del singolo lavoratore, degli organismi sindacali nazionali e delle rappresentanze sindacali aziendali.
Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria del Tribunale del luogo ove è stato posto in essere il comportamento antisindacale denunziato. Tale è quello in cui la condotta ha prodotto i suoi effetti a prescindere che la decisione sia stata assunta o comunicata in luogo diverso.
L’art. 28 richiamato non pone alcun termine per proporre il ricorso. Il datore di lavoro convenuto deve costituirsi in giudizio mediante il deposito in cancelleria di una memoria difensiva scritta. L’art. 28 richiamato non stabilisce alcun termine entro cui la memoria deve essere depositata. Per cui il datore di lavoro si ritiene che possa presentare la propria memoria difensiva anche lo stesso giorno dell’udienza direttamente al giudice o presso la cancelleria.
A seguito del ricorso, il giudice, nei due giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga fondato il ricorso, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti di esso.
Contro il decreto è ammesso opposizione, entro 15 giorni dalla comunicazione, davanti allo stesso tribunale.
Questa seconda fase del procedimento non sospende l’efficacia del decreto che non può essere revocato fino alla sentenza con cui il giudice definisce il giudizio.
L’opposizione al decreto introduce un normale processo di cognizione ordinaria.
Pertanto, la parte interessata deve depositare il ricorso presso la cancelleria del Tribunale competente. Il ricorso deve rispondere a tutti i requisiti richiesti dall’art. 414 c.p.c.
In caso di mancata opposizione il decreto passa in giudicato e le sue statuizioni divengono immodificabili.
Il procedimento di opposizione si svolge secondo le regole del processo del lavoro e si conclude con una sentenza contro la quale sarà possibile proporre appello.
Il datore di lavoro che non ottemperi al decreto o alla successiva sentenza è punito, ai sensi dell’art. 650 c.p. con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda fino a € 206,58.
A) Fattispecie di condotte antisindacale trattate dalla giurisprudenza in ambito scolastico
- Con specifico riferimento alle istituzioni scolastiche si annotano di seguito alcune sentenze di condanna emesse dai tribunali nelle quali è stata ravvisata la condotta antisindacale del dirigente scolastico.
- Il Tribunale di Pordenone decisione del 27/5/2002, ha ritenuto che ricorrono gli estremi della condotta antisindacale nel caso di mancata informazione preventiva e nel caso di mancato avvio della contrattazione integrativa d’istituto.
- Tribunale di Venezia, Decreto del 19 aprile 2002 con il quale è stato giudicato antisindacale il comportamento del Dirigente scolastico per non avere fornito l’informazione preventiva in ordine alla proposta di formazione delle classi e di determinazione degli organici della scuola.
- Tribunale di Bari con sentenza del 7/8/2003 ha dichiarato illegittima l’esclusione dei sindacati provinciali dalla contrattazione di scuola per le sedute relative alla definizione dell’articolato contrattuale e ha deciso, conseguentemente, la nullità del contratto di scuola stipulato in difformità. La sentenza ribadisce, in materia di informazione, l’obbligo per il Dirigente scolastico di fornire l’informazione preventiva e successiva, come previsto dal contratto, ed il giudizio di comportamento antisindacale per i comportamenti difformi;
- Tribunale di Bari decisione dell' 11/3/2004 con la quale dichiara antisindacale la condotta posta in essere dal dirigente scolastico con riferimento alla omessa convocazione delle RSU per le trattative relative alle materie oggetto di contrattazione integrativa d’istituto ed alla omessa formulazione della conseguente proposta contrattuale; Il Tribunale di Vallo della Lucania 19 maggio 2005, ha giudicato comportamento antisindacale quello del dirigente scolastico per aver omesso l’informazione preventiva e successiva in violazione dell’art. 6 del CCNL.
- Tribunale di Palermo, 1 aprile 2005, ha dichiarato antisindacale la condotta tenuta dal dirigente scolastico nell’aver adottato il provvedimento di assegnazione dei docenti alle classi, senza aver previamente formulato la propria proposta di contrattazione sulle materie di cui all’art. 6, comma 2, lett. f del CCNL 2003. Pur ammettendo che l’assegnazione dei docenti alle classi costituisce compito esclusivo del dirigente scolastico, come previsto dall’art. 7, comma 7 del D.L. n. 59/04, deve peraltro ritenersi che ogni determinazione al riguardo vada presa comunque nell’ambito dei “criteri e modalità relativi alla organizzazione del lavoro e all’articolazione dell’orario del personale docente, correndosi, altrimenti il rischio che il citato art. 6 comma 2 lettera f finisca per privarsi di significato;
- Tribunale di Agrigento 26 marzo 2004, condanna per comportamento antisindacale ex art. 28 legge n. 300/70 il dirigente scolastico per aver omesso l’avvio della contrattazione integrativa in tempo per "l’ordinato e tempestivo avvio dell’anno scolastico" (art. 6 cit. punto 4), sia sulle materie che incidono sull’assetto organizzativo, sia sulle altre, in relazione alle quali, in ogni caso, le procedure debbono concludersi "nei tempi congrui per assicurare il tempestivo ed efficace inizio delle lezioni".
- Tribunale di Lanusei 6 febbraio 2018 ha condannato il dirigente scolastico dell’Istituto Superiore di Lanusei dichiarandone l’antisindacabilità della condotta ed ordinando di adottare ogni misura idonea a garantire un corretto sistema di relazioni sindacali, sia in punto di informazioni necessarie ad un efficiente avvio e sviluppo della contrattazione integrativa, sia in punto di permessi, sia in punto di assemblee, dentro o fuori dal distretto, attenendosi alle vincolanti prescrizioni normative, di legge e contrattuali.
- Tribunale di Matera 14 maggio 2017, ha condannato il dirigente scolastico di un istituto comprensivo di Matera per non aver attivato secondo modalità e tempi stabiliti dal CCNL la contrattazione integrativa d'istituto.
- Tribunale di Cuneo 5 maggio 2017 ha condannato per comportamento antisindacale la direzione didattica di un comune in provincia di Cuneo, per la mancata concessione di assemblea sindacale interna, presso la direzione didattica, richiesta dalla RSU e dalla FLC CGIL Cuneo al dirigente scolastico 12 giorni prima della data di svolgimento.
- Tribunale di Napoli 22 marzo 2017 ha condannato per comportamento antisindacale, il dirigente scolastico del Liceo di Aversa, in violazione del principio di libertà sindacale nei confronti della RSU e cioè in ritorsione al dissenso manifestato dalla RSU contrastando con tutti i principi di libero esercizio dell’attività sindacale nell’istituto.
- Tribunale di Lecco 17 marzo 2017 ha condannato il dirigente scolastico per la mancata attivazione della contrattazione integrativa secondo i tempi e modalità previsti dal CCNL.
- -Tribunale di Torino 23 dicembre 2015 ha condannato il dirigente scolastico ai sensi dell’art. 28, legge 20 maggio 1970, n. 300 per aver impedito lo svolgimento di un'assemblea rivolta al personale ATA.