La base giuridica su cui fondare la sussistenza dell'interesse all'accesso di cui all'art. 22 della Legge n. 241/1990 richiede di valutare la "necessarietà" dei documenti richiesti. Ricorda il Consiglio di Stato che l'art. 2-ter del Codice Privacy stabilisce che la comunicazione dei dati è ammessa solo quando è prevista da una norma di legge e, nei casi previsti dalla legge, di regolamento.

Ad esempio, il Garante ha chiarito, con la nota n. 49472 del 28 dicembre 2020, che la messa a disposizione dei dati personali alle organizzazioni sindacali comporta una "comunicazione" e che i contratti collettivi possono integrare le previsioni normative per permettere alle organizzazioni sindacali di rappresentare adeguatamente gli interessi dei dipendenti o quando sia necessario per l'adempimento degli obblighi previsti dagli stessi contratti. Con riferimento specifico al comparto scuola, la stessa nota afferma che il "quadro normativo vigente" non consente agli istituti scolastici di comunicare i nominativi dei docenti o di altro personale e le somme liquidate a ciascuno per lo svolgimento di attività finanziate con il fondo di istituto. Pertanto Nel bilanciamento tra la tutela della privacy e quello dell'interesse del sindacato all'accesso occorre, infatti, considerare che i documenti forniti dalla scuola sembrano contenere elementi di informazione sufficienti per l'attività di verifica dei criteri utilizzati per l'individuazione delle attività integrative e per la ripartizione delle risorse. 

Nelle istituzioni scolastiche statali il datore di lavoro viene identificato nel Dirigente scolastico e, quindi a lui fanno capo i compiti e le responsabilità in ordine all’attuazione delle misure di sicurezza previste dalla legislazione antinfortunistica. Egli è chiamato a garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori mediante l’assolvimento degli obblighi che la legge pone a suo carico.

Il dirigente scolastico, in quanto datore di lavoro, è tenuto a garantire la sicurezza della scuola attraverso l'eliminazione di qualsiasi fonte di rischio, adottando al riguardo tutti quei provvedimenti organizzativi di sua competenza o, se necessario, sollecitando l'intervento di coloro sui quali i medesimi incombano. Egli in quanto soggetto titolare del rapporto di lavoro, svolge, in ordine alla sicurezza e all’igiene del lavoro, i compiti non assegnati dalla legge ai preposti e ai dirigenti, nonché i compiti non delegabili.

Il Dirigente scolastico è responsabile, penalmente per la mancata osservanza degli obblighi imposti dalla legge in materia di sicurezza ed igiene, e civilmente per i danni arrecati a terzi conseguenti alla violazione della normativa.

Sul Dirigente gravano compiti di organizzazione e controllo dell’attività dei dipendenti nell’ambito più generale della gestione delle risorse di cui è direttamente responsabile secondo il D.L.vo n.165/2001.

Per cui il Dirigente scolastico può essere civilmente responsabile nel caso siano accertate carenze organizzative a lui imputabili, cioè quando non abbia provveduto ad eliminare le fonti di pericolo; non abbia provveduto alla necessaria regolamentazione dell'ordinato afflusso o deflusso degli studenti in ingresso ed in uscita dalla scuola; non abbia provveduto a disciplinare l'avvicendamento degli insegnanti nelle classi, il controllo degli studenti negli intervalli, nelle mense e così via, ovvero qualora non abbia sufficientemente custodito cose ed attrezzature a lui affidate che possano cagionare danno al personale che opera nella scuola, agli alunni, ai terzi che frequentano per varie ragioni i locali scolastici.

Nella sua qualità di datore di lavoro il dirigente scolastico è vincolato nei confronti dei lavoratori dal c.d. obbligo di sicurezza genericamente sancito dall’art.2087 del codice civile. Tale norma individua il contenuto del dovere di sicurezza attraverso criteri elastici e non attraverso regole prestabilite e cristallizzate, permettendo, così un continuo aggiornamento dei mezzi e delle misure da adottare.

L’obbligo di sicurezza, quindi, che incombe sul datore di lavoro si fonda sempre sul principio sancito dall’art.2087 C.C., a cui fa riscontro un vero e proprio diritto in capo al lavoratore alla predisposizione delle misure di sicurezza atte a tutelare la sua salute e la sua integrità fisica.

Il comportamento del dirigente scolastico deve ispirarsi a criteri di responsabilità, vigilanza, diligenza e buon senso, in modo da evitare di incorrere in situazioni di colpa o di dolo.

Nell’ambito dell’organizzazione scolastica, la responsabilità del dirigente scolastico nella sua veste di datore di lavoro in materia di sicurezza è fuori discussione, ma accanto a lui possono essere destinatari della responsabilità in parola anche i collaboratori che a vario titolo interagiscono con il dirigente nella gestione del servizio scolastico.

Tra i soggetti destinatari dell’obbligo di sicurezza vi sono il dirigente e il preposto che sono figure espressamente disciplinate dal testo unico sulla sicurezza, ma vi possono essere anche collaboratori che di fatto possono esercitare poteri direttivi.

Al riguardo giova richiamare l’art. 299 del D.lgs. 81/08 secondo il quale "Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b) (datore di lavoro), d) (Dirigente), ed e) (Preposto), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti".

Per il principio di effettività, quindi, gli incarichi scritti e deleghe eventualmente conferite possono risultare irrilevanti   qualora non corrispondano all'organizzazione sostanziale presente nell'istituzione.

E’ principio codificato in Giurisprudenza quello secondo il quale: "... i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti che esercitano, dirigono o sovrintendono alle attività.. .devono nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, attuare le misure di sicurezza previste nel decreto".

Per la Corte di Cassazione " i collaboratori del datore di lavoro sono,   al pari di quest'ultimo,   da considerare, per il fatto stesso di essere inquadrati come dirigenti o preposti e, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, destinatari iure proprio dell'osservanza dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega ad hoc" ( Sentenza 8 febbraio 2008, n. 6277).

La dipendenza gerarchica dal datore di lavoro del preposto, ma anche del dirigente, impone loro l'obbligo di riferire le eventuali iniziative intraprese ai fini della prevenzione dei rischi lavorativi, nonché gli esiti dell'attività di sorveglianza e controllo svolta.

Per questi motivi riveste fondamentale importanza che gli incarichi conferiti dai Dirigenti scolastici siano circostanziati e quanto più precisi possibile nella definizione delle competenze richieste al soggetto incaricato.

Delega delle funzioni in materia di sicurezza da parte del dirigente scolastico

come sopra premesso nelle istituzioni scolastiche in materia di sicurezza il datore di lavoro è il dirigente scolastico al quale spettano i poteri di gestione. Gli obblighi che fanno capo al datore di lavoro in materia di sicurezza non sono delegabili e nei casi in cui la delega sia consentita, non può comunque essere esonerato dalla propria responsabilità.

Infatti, la delega di funzione non esclude la responsabilità e non solleva il datore di lavoro da ogni re­sponsabilità. Su di esso permane la responsabilità che deriva dall'obbligo di vigilare in ordine al corretto espletamento, da parte del delegato, delle funzioni trasferite.

La dottrina e la giurisprudenza hanno più volte rilevato la centralità della funzione del datore di lavoro: esso è il soggetto obbligato in via prima­ria e necessaria, in veste di principale destinatario de­gli obblighi imposti dalla legge.

Il D.L.vo n.81/2008, art.18,   riserva espressamente al da­tore di lavoro alcune attività che non sono delegabili ad altri e restano comunque di sua propria responsabilità. Essi sono:

  • la valutazione dei rischi ;
  • l’elaborazione del documento di valutazione dei rischi;
  • la nomina del re­sponsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP).

La responsabilità del datore di lavoro rimane piena, inoltre, se la delega di funzioni non rispetta i limiti e le condizioni imposte dal decreto (art. 16 D.L.vo n.81/2008). Viceversa, se la delega è efficace il soggetto delegato risponde quale Datore di lavoro delegato.

Affinché la delega sia efficace è necessario che risulti da atto scritto recante data certa, che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza necessari, che attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, e che infine attribuisca al de­legato un'autonomia di spesa sufficiente. Da notare che quest'ultimo requisito è assolutamente determi­nante, poiché rende il delegato libero di assumere le iniziative necessarie, nella giusta misura e soprattutto in maniera tempestiva.

La distinzione tra delega esecutiva e delega funzionale

La Corte di Cassazione, Sez. III con una recente sentenza del 21 settembre 2021 n. 25512, ha avuto modo di soffermarsi sulla natura della delega in materia di sicurezza.

Secondo la corte occorre distinguere l'ipotesi in cui la delega sia esecutiva da quella in cui sia funzionale, esclusiva. Nel primo caso, la responsabilità del datore di lavoro per eventuali infortuni per comportamenti dolosi o colposi permane ed è diretta, in applicazione dell'art. 2087 c.c., perché il datore non si spoglia del suo potere di sorveglianza. Nel secondo, il datore ne risponde ugualmente in solido col delegato, a titolo di responsabilità oggettiva, a norma dell'art. 1228 cod. civ., per fatti dolosi o colposi compiuti dal preposto nell'adempimento dell'obbligazione di sicurezza.

La Suprema Corte ha affermato che il principio di effettività non comporta affatto l'esonero da responsabilità del datore di lavoro e che «la individuazione del soggetto effettivamente tenuto ad assolvere gli obblighi prevenzionali è il presupposto per l'accertamento della responsabilità datoriale nella giurisprudenza penale, ma la titolarità degli obblighi penalmente rilevanti, in ragione dell'attribuzione di compiti specificamente assegnati al responsabile ed agli addetti ai servizi di prevenzione e protezione, non incide sulla responsabilità per inadempimento dell'obbligo di sicurezza gravante sul datore di lavoro né sulla eventuale responsabilità di quest'ultimo ai sensi dell'art. 2049 cod. civ.».

La Corte di Cassazione ricorda, infatti, che la delega di funzioni, pur se operante sul versante della responsabilità penale, non è opponibile al lavoratore, data la natura inderogabile dell'art. 2087 cod. civ. che pone a carico del datore di lavoro il c.d. obbligo di sicurezza e la relativa responsabilità in caso di suo inadempimento.

Di conseguenza, ribadisce la Corte, il datore di lavoro «non può invocare come fatto liberatorio l'aver delegato terzi l'adempimento dell'obbligo di adottare tutte le misure di sicurezza necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, permanendo a suo carico, a norma dell'art. 1228 cod. civ., la responsabilità civile per i fatti dolosi o colposi di costoro» (Cass. 11.04.2005 n. 7360; Cass. 14.05.2019 n. 12573).

In altri termini, precisa la Corte, sul versante civilistico, la delega conferita al preposto «non ha efficacia traslativa del debito prevenzionistico e delle relative responsabilità» nei confronti del prestatore di lavoro.

La Suprema Corte evidenzia, in particolare, che il datore di lavoro non è esente da responsabilità neppure in caso di delega funzionale a tutti gli effetti, quindi con successione del delegato nella sua posizione nell'adempimento dell'obbligo di sicurezza.

In questo caso, precisa la Corte di Cassazione, il datore di lavoro risponde «non già per inadempimento dell'obbligo primario di sicurezza, cioè per fatto proprio, ma per il rapporto di preposizione, cioè un elemento oggettivo, insieme con il fatto dannoso ingiusto, considerando che egli è chiamato a rendere conto dell'attività del preposto nel quadro dell'organizzazione e delle finalità dell'impresa prescindendosi dalla sua colpa, in quanto la responsabilità è imputata a titolo oggettivo, avendo come suo presupposto la consapevole accettazione dei rischi insiti in quella particolare scelta datoriale».

Così come previsto dall’art. 53 del CCNL il Dirigente Scolastico, dopo aver espletato le procedure previste dalla Informazione preventiva sindacale, e dopo aver verificato la congruenza del Piano rispetto al PTOF, ne dispone l’adozione.

Il DSGA è responsabile della puntuale attuazione del Piano stesso nel corso dell’anno scolastico, attribuisce al personale incarichi di natura organizzativa e le prestazioni eccedenti l'orario d'obbligo, qualora ne insorga la necessità. 

Ai sensi dell'alt. 2087 c.c., in caso di infortunio sul lavoro, il datore di lavoro e totalmente esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore assuma caratteri di abnormità, inopi­nabili ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ri­cevute, in modo da porsi quale causa esclusiva dell'evento. Qualora invece non ricorrano detti carat­teri nel comportamento del lavoratore, l'imprendito­re e integralmente responsabile dell'infortunio di­pendente dall'inosservanza delle norme antinfortu­nistiche, qualora la violazione dell'obbligo di sicurez­za integri l'unico fattore causale dell'evento.

La Suprema Corte ha chiarito che, ai sensi dell'art. 2087 c.c., il datore di lavoro deve ritenersi responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, pure qualora sia ascrivibile non soltanto ad una sua disat­tenzione, ma anche ad imperizia, negligenza e impru­denza (Cass. 10 settembre 2009, n. 19494), con la conse­guenza che il datore di lavoro e totalmente esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore assuma caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al proce­dimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, in modo da porsi quale causa esclusiva dell'evento (Cass. 13 gennaio 2017, n. 798; Cass. 17 febbraio 2009, n. 3786).

Qualora invece non ricorrano detti caratteri nel com­portamento del lavoratore, il datore di lavoro e integral­mente responsabile dell'infortunio dipendente dall'inos­servanza delle norme antinfortunistiche, qualora la violazione dell'obbligo di sicurezza integri l'unico fattore causale dell'evento: non rilevando in alcun grado il con­corso di colpa del lavoratore, posto che il datore di lavo­ro e tenuto a proteggerne l'incolumità nonostante la sua imprudenza e negligenza (Cass. 4 dicembre 2013, n. 27127; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4656).

La Suprema Corte ha, inoltre, chiarito che qualora il la­voratore lamenti di avere subito un danno alla salute a causa dell'attività lavorativa svolta, lo stesso è tenuto a provare, oltre che l’esistenza di tale danno, anche la nocivita dell'ambiente di lavoro (ovvero la mancata ado­zione delle suddette misure protettive) e il nesso di cau­salità tra luna e l'altra. Soltanto se il lavoratore abbia fornito una tale prova, sussiste per il datore di lavoro l'onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (Cass. 27 febbraio 2019, n. 5749; Cass. 8 ottobre 2018, n. 24742; Cass. 4 febbraio 2016, ri 2209).

La Suprema Corte ha, altresì, precisato che, in materia di responsabilità aquiliana, vige il principio posto dagli artt. 40 e 41 c.p., per il quale un evento e da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché il criterio della cosiddet­ta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano, ad una valutazione ex ante, del tutto inverosimili. Ferma restando, peraltro, la di­versità del regime probatorio applicabile nell'accerta­mento del nesso causale, vigendo nel processo penale la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", mentre in materia civile la regola della preponderanza dell'evi­denza o del "più probabile che non" (Cass. S.U. 11 gen­naio 2008, n. 576).

Corte di Cassazione Sez. Lav. 30 ottobre 2019, n. 27916

Nella scolarizzazione degli allievi con disabilità fisiche, sensoriali, comportamentali e più in generale con i cosiddetti bisogni speciali, si è prestata particolare attenzione agli aspetti didattici ed educativi, e non anche a quelli organizzativi ed assistenziali, benché anch'essi basilari per la qualità dei progetti di inclusione.

Così, è sempre un tema dibattuto e sensibile quello degli organici dei docenti specializzati per il sostegno su cui interviene la stessa giurisprudenza per dettare e garantire standard e tutele. Non si ha notizia, invece, di sentenze che obblighino l'amministrazione ad adeguare la consistenza dei collaboratori scolastici alla presenza e alle necessità di assistenza e cura degli allievi.

Questi compiti, benché impegnativi e gravosi, c’è chi li accetta e li svolge di buon grado, sviluppando empatie col bambino down, partecipando al viaggio di istruzione per facilitare gli spostamenti dell’adolescente paraplegico, aiutando in classe l’insegnante a contenere l’alunno oppositivo.

Tuttavia, c'è anche chi cerca di evitare le prestazioni a carattere assistenziale, sfruttando le contraddizioni e le lacune di un quadro normativo a tratti lacunoso e contraddittorio che ha provocato, in qualche caso, il ricorso alle figure genitoriali per l'accudimento del figlio, ad esempio per il cambio del pannolino nella scuola dell'infanzia.

Ovviamente, si tratta di una pratica illegale e contraria all'idea di una scuola inclusiva che deve rispondere ai bisogni di ognuno utilizzando e potenziando le proprie risorse organizzative e professionali.

A chi compete l'assistenza di base

Che l'assistenza di base debba essere espletata dalle figure interne all'istituzione scolastica è ormai un dato acquisito, giacché gli enti locali non garantiscono più, neppure in forma residuale, quegli interventi di natura igienico-personale di cui si occupavano prima della statalizzazione degli ausiliari avvenuta del 2000.

Su impulso delle associazioni dei disabili, nel 2001 il Miur, con la circolare n. 3390, ha chiarito che compete all'istituzione scolastica l’assistenza di base che riguarda essenzialmente gli spostamenti del disabile e l'uso dei servizi igienici, indicando uno specifico percorso per formare le figure preposte a tali compiti.

Rimane a carico degli enti locali e del servizio sanitario quella specialistica, finalizzata all’autonomia e alla comunicazione, con l’impiego, a titolo esemplificativo, di educatori professionali, assistenti educativi, esperti del linguaggio dei segni, personale paramedico e psico-sociale.

Anche nei contratti nazionali hanno trovato spazio nel corso degli anni le mansioni di assistenza a carico dei collaboratori scolastici, però collegate a funzioni aggiuntive e poi a incarichi specifici comportanti “l’assunzione di responsabilità ulteriori” o , “di particolare responsabilità, rischio o disagio”, con la previsione di appositi compensi. Ambiguo e fuorviante anche il c. 3 dell'art. 50 del CCNL 2006-09 per il quale ai destinatari della cosiddetta posizione economica "sono affidate, in aggiunta ai compiti previsti dallo specifico profilo, ulteriori e più complesse mansioni concernenti l'assistenza degli alunni diversamente abili e l'organizzazione degli interventi di primo soccorso".

Ciò ha indotto a ritenere che si trattasse di compiti aggiuntivi, vincolati al consenso degli interessati.

Le conseguenze di queste posizioni contrastano con quadro ordinamentale inclusivo per il quale vanno garantiti al disabile i livelli di assistenza necessari alla regolare frequenza scolastica, e la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22786 del 2016, ha confermato la condanna di tre collaboratrici scolastiche supplenti, rifiutatesi di cambiare il pannolino ad una bambina disabile della scuola dell’Infanzia. Il reato è quello di rifiuto di atti d’ufficio a cui si è aggiunto il risarcimento per le escoriazioni provocate dal mancato intervento assistenziale. La Suprema Corte ha ritenuto irrilevante l’assenza di incarico retribuito e di una formazione specifica, considerando mansione ordinaria del profilo, “l’assistenza materiale nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene degli alunni con disabilità”.

Va, comunque, rilevato che i deficit di assistenza che possono verificarsi non debbono tout court essere attribuiti alla soggettività del collaboratore scolastico sbrigativamente caricato di attribuzioni che, piuttosto chiamano in causa la responsabilità di tutte le figure preposte all'organizzazione dei servizi, compresi il dirigente scolastico e il DSGA, e soprattutto il sistema politico-amministrativo che, ad esempio, non garantisce risorse e organici adeguati.

Per esemplificare, può verificarsi che in un piccolo plesso l'unico collaboratore in servizio, chiamato a garantire l'assistenza igienico-personale ad uno o più soggetti con disabilità e minorazioni fisiche più o meno gravi, debba nel contempo vigilare gli ingressi e accogliere il pubblico, sorvegliare le scolaresche temporaneamente prive di docente, rispondere al telefono, sorvegliare gli alunni durante la ricreazione e nel refettorio, supportare i docenti nelle innumerevoli necessità logistiche, provvedere alla commissioni esterne, alla piccola manutenzione e, magari, curare il prato e le aiuole.

In questi casi i carichi di lavoro possono diventare intollerabili e il piano delle attività deve indicare le priorità, le modalità e i tempi di intervento, le soluzioni organizzative che consentano di assolvere senza impedimenti ai compiti assistenziali e di cura.

Peraltro, di questi interventi, previsti espressamente per i soggetti con disabilità accertata, si ritiene che debbano eventualmente fruire tutti gli allievi dei diversi ordini scolastici che ne abbiano necessità in virtù di una condizione di bisogno anche temporaneo accertato dal consiglio di classe o semplicemente per rispondere ad una richiesta di aiuto espressa dagli stessi interessati.