di Valeria Rombolà, Giornalista e dottoressa in Giurisprudenza
Vent’anni di prolungata assenza su 24 anni complessivi di lavoro. L’incredibile record di assenze è stato totalizzato da un’ormai ex docente dell’Istituto secondario di secondo grado di Chioggia, la quale è stata definitivamente destituita dal servizio come confermato dalla Corte di Cassazione con sentenza 17897/2023. La docente, infatti, aveva proposto ricorso in Cassazione contro la sentenza della Corte di appello che aveva stabilito la sanzione ivi riportata, sostenendo che gli elementi fattuali non fossero sufficienti a provare la sua “permanete e assoluta” incapacità ad insegnare.
Piuttosto gli stessi avrebbero dovuto essere valutati quale “espressione della libertà di insegnamento”. In ultimo, la docente aveva sostenuto l’inapplicabilità della destituzione dato l’avvenuto superamento del periodo di prova previsto per legge. Dunque sono state respinte tutte le motivazioni addotte ritenendole “infondate” in fatto e diritto. In primo luogo è stata smentita l’inapplicabilità del potere di destituzione, dato la natura della funzione del Dirigente scolastico quale titolare della gestione delle risorse del personale.
Lo stesso, qualora riscontri un’ “oggettiva inidoneità allo svolgimento della funzione di insegnante” può applicare il suddetto provvedimento come previsto dall’articolo 512 del D.lgs. n. 297/1994. La Corte, proseguendo, ha ritenuto che la “permanente e assoluta” incapacità all'insegnamento potesse essere accertata dai numerosi elementi fattuali, emersi dai colloqui tra il Dirigente, gli studenti e i genitori. Da questi si evidenziava la totale disattenzione della docente nella gestione delle lezione, la scarsa cura nella preparazione delle lezioni e nella redazione dei programmi, oltre a criteri del tutto “casuali” nell'assegnazione dei voti.
A fondamento della tesi fattuale ivi esposta è seguito un rapporto del Dirigente Tecnico che ha portato la docente al provvedimento oggetto del ricorso. Gli Ermellini hanno poi cassato il motivo basato sulla presunta violazione del principio costituzione della “libertà di insegnamento”: essi hanno sostenuto che lo stesso deve essere calibrato con quello della tutela dell’alunno all’apprendimento (artt. 31, 32, comma 2 e 34 Cost). Pertanto, la libertà didattica deve essere diretta e funzionale alla “piena formazione della personalità” dei discenti quali titolari di un vero e proprio “diritto allo studio”. Di conseguenza, spiegano i giudici, la libera scelta da parte del docente dei metodi più appropriati non può sfociare nella totale destrutturazione della lezione che equivarrebbe ad una “libertà di non insegnare”.
Alla luce dei plurimi riscontri fattuali accertati dalla Corte di Appello emergeva- nel caso di specie- una mancanza assoluta del minimum di elementi essenziali necessari allo svolgimento della professione e alla conseguente formazione degli alunni. Dunque la Corte, rigettando il ricorso per i motivi ivi esposti, ha condannato la ex docente al pagamento delle spese del giudizio in favore del MIUR oltre a confermare, di fatto, la dispensazione della stessa dal servizio.