di Carmen Juvone, Avvocato esperta di diritto costituzionale e amministrativo.

Estratto dell'articolo "La legge sulla concorrenza e le novità sulla disciplina del procedimento amministrativo" pubblicato su Scienza dell'Amministrazione Scolastica n.4 del 2022

La legge 5 agosto 2022, n. 118 è finalizzata a promuovere la tutela e la promozione della concorrenza, garantendo l’accesso ai mercati di imprese di minori dimensioni mi­gliorando la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, po­tenziando lo sviluppo degli investimenti e dell’innovazio­ne in funzione della tutela dell’ambiente, della sicurezza e del diritto alla salute dei cittadini.
Il PNRR considera la tutela e la promozione della concor­renza - principi-cardine dell’ordinamento dell’Unione eu­ropea - come fattori essenziali per favorire l’efficienza e la crescita economica e per garantire la ripresa dopo la pandemia, nonché una maggiore giustizia sociale e pone come traguardo l’entrata in vigore della legge annuale sulla concorrenza 2021 per la fine del 2022.

La legge in esame ha introdotto importanti novità anche con riferimento alla durata dei procedimenti amministra­tivi. L’art. 26 recante deleghe al Governo per la revisione dei procedimenti amministrativi in funzione pro-concorren­ziale, come modificato in sede referente, conferisce una delega al Governo, da esercitare entro 24 mesi, per la rico­gnizione dei regimi amministrativi delle attività private e per la loro semplificazione. Sono previsti criteri e principi direttivi volti, tra le altre cose, a tipizzare e individuare le attività private sogget­te ai diversi regimi amministrativi per l’avvio delle attività private(autorizzazione, silenzio assenso, comunicazione, segnalazione certificata di inizio attività SCIA) semplifi­care procedimenti relativi ai provvedimenti autorizzatori, estendere l’ambito delle attività private esercitabili senza necessità di alcun adempimento, inclusa la mera comuni­cazione, nonché digitalizzare le procedure.

L’intervento del legislatore delegato è previsto al fine di eliminare le autorizzazioni e gli adempimenti non neces­sari, nel rispetto dei principi di diritto dell’Unione europea relativi all’accesso alle attività dei servizi e in modo da ri­durre gli oneri regolatori su cittadini e imprese. Si tratta di obiettivi inclusi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Quanto ai criteri direttivi, il legislatore delegato è tenuto in primo luogo a tipizzare e individuare le attività sogget­te ad autorizzazione, giustificate da motivi imperativi di interesse generale e i provvedimenti autorizzatori posti a tutela di principi e interessi costituzionalmente rilevanti; semplificare i procedimenti relativi ai provvedimenti au­torizzatori; estendere l’ambito delle attività private libera­mente esercitabili senza necessità di alcun adempimento, inclusa la mera comunicazione, da parte dei privati; sem­plificare e reingegnerizzare le procedure e gli adempi­menti per la loro completa digitalizzazione.

Tra i principi e i criteri direttivi della delega, nel corso dell’esame in sede referente, è stato introdotto come principio direttivo il seguente: ridefinire i termini dei procedimenti amministrativi dimezzandone la durata, salva la possibilità di individuare d’intesa con le ammini­strazioni competenti, quelli esclusi da tale riduzione, preve­dendo che tra i criteri base di valutazione della performance individuale e organizzativa sia compreso, ove applicabile il monitoraggio dei tempi di trattazione dei procedimenti e il livello di soddisfazione dell’utenza” (comma 1, lett.i). Il dimezzamento di tutti i tempi dei procedimenti am­ministrativi è introdotto come un principio generale che deve disciplinare, anche in funzione del PNRR, i rapporti tra cittadini, imprese e PA, salvo che vi siano particolari iter (da individuare espressamente d’intesa con gli enti) che necessitano il mantenimento degli attuali tempi.

La durata delle pratiche rientrerà tra i criteri oggetto di valutazione nei giudizi sulla performance individuali e or­ganizzative della P.A. Si prevede anche la tracciabilità di­gitale del procedimento. Occorre attendere l’intervento del legislatore delegato e la concreta declinazione normativa dei richiamati principi. La recente giurisprudenza amministrativa ha espresso un chiaro orientamento sulla ragionevole durata del pro­cedimento amministrativo di seguito riportato a comple­tamento del quadro ricostruttivo che si è cercato di deli­neare con il presente contributo.

“...(omissis) principio, ormai acquisito in diritto vivente, di ragionevole durata del procedimento amministrativo, che connota tutto il sistema dell’agere amministrativo ed in particolare assume pregnanza nei procedimenti in sen­so ampio sanzionatori, ablatori, afflittivi, ed in quelli volti all’adozione di atti di ritiro di provvedimenti favorevoli. Detto principio comporta, nelle affermazioni della più re­cente giurisprudenza attenta ai richiami costituzionali e comunitari scaturenti dalla esigenza di una tutela efficace ed effettiva delle posizioni soggettive, che in tutti i casi in cui il potere della PA di incidere unilateralmente sulla sfe­ra giuridica del privato comporti l’ablazione o l’affievoli­mento di diritti costituzionalmente garantiti o comunque di posizioni di vantaggio già acquisite, il relativo procedi­mento debba partecipare delle garanzie del giusto pro­cesso, in quanto tende ad assumere connotazioni finali­sticamente afflittive simili a quelle del processo penale .

Indubbiamente, fra i principi che regolano il “giusto procedimento amministrativo” si individua, pur se non espressamente enunciato, anche quello della ragionevole durata dello stesso. L’immanenza del principio nel siste­ma si desume dal complesso delle norme che prevedono che ciascun procedimento debba essere concluso entro un termine predefinito (cui corrisponde come norma ge­nerale e suppletiva, un termine di conclusione per tutti i casi in cui non sia espressamente previsto dalla normati­va di settore di livello primario o regolamentare); e dalla nuova normativa in tema di responsabilità (civile ed am­ministrativa) per ritardo procedimentale (cfr., al riguardo, l’art. 2-bis, L. 7 agosto 1990, n. 241).

Il principio in questione è stato poi confermato, ultima­mente, da varie norme ed in ultimo dalla c.d. “riforma Ma­dia” (cfr. l’art. 25, comma 1, lett. b-quater), L. 11 novembre 2014, n. 164; poi l’art. 6, comma 1, L. 7 agosto 2015, n. 124) che ha introdotto (mediante un’integrazione all’art. 21-nonies, L. n. 241/1990) un termine perentorio per l’a­dozione dei provvedimenti di secondo grado; nonché dalle riforme di cui al DL 76/2020, che hanno inciso con l’introduzione del comma 8 bis all’art. 2 legge 241/90, prevedendo la inefficacia del provvedimento tardivo in alcune ipotesi in cui attraverso il silenzio significativo il superamento del termine di conclusione del procedimen­to porta alla formazione di un atto favorevole al privato. Dall’insieme di tali disposizioni emerge il principio per cui il privato non può essere assoggettato sine die ad un pro­cedimento amministrativo volto ad incidere su un diritto fondamentale o un su un provvedimento che ne abbia precedentemente espanso la sfera giuridica patrimoniale.

Il principio della ragionevole durata del procedimento amministrativo costituisce un corollario del c.d. principio della certezza del diritto, essendo evidente che l’eccessiva dilatazione temporale del procedimento determina una intollerabile situazione di incertezza giuridica destinata ad incidere sulle scelte di vita delle persone e sui traffici commerciali, vulnerando la stabilità della posizioni sog­gettive e producendo un danno all’intera collettività (cfr. in termini Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Re­gione Siciliana, sentenza n. 408 del 30 marzo 2022). Occorre al riguardo spostare l’attenzione dal termine di conclusione applicabile ai singoli procedimenti verso un’estensione al procedimento amministrativo del con­cetto di “ragionevole durata”, tipico del processo, anche alla luce degli insegnamenti provenienti dalla giurispru­denza della Corte Europea dei Diritto dell’Uomo e tenen­do conto, altresì, dell’incidenza di una durata eccessiva del procedimento sul paradigma legale di riferimento.

Il contesto attuale è invero caratterizzato dall’assoluta ri­levanza della tempestività dell’azione amministrativa per la tutela degli interessi pubblici e privati, come evidenzia­no le modifiche all’art. 2, L. 241/1990, apportate dal De­creto Semplificazioni, specialmente con riferimento alla “sorte” degli atti tardivi (in particolare con l’inserimento del comma 8 bis). Di qui la necessità di affrontare il tema della durata dei procedimenti amministrativi anche con ricadute invalidanti, spostando l’attenzione dal termine di conclusione applicabile ai singoli procedimenti verso un’estensione del concetto di ragionevole durata”.