II datore di lavoro, una volta esercitato valida­mente il potere disciplinare nei confronti del pre­statore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, non può eserci­tare, una seconda volta, per quegli stessi fatti, il detto potere, che è ormai consumato. Nella fattispecie il datore di lavoro aveva disposto il licenziamento individuale per i medesimi fat­ti già sanzionati già sanzionati in precedenza con una sanzione conservativa. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione sez. lav., 22 ottobre 2014, n. 22388.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, specificando, anzi­tutto, che il principio di ne bis in idem è funzionale ad evitare che per lo stesso fatto si svolgano più procedimenti e si emettano più provvedimenti (Cass. pen. 10 luglio 1995, n. 1919). Inoltre, nella pronuncia viene evidenziato il carattere generale del principio, che è posto a garanzia del giusto processo, nonché dei diritti individuali dell'uomo, riconosciuti dall'art. 2 Costituzione e del diritto di difesa, sancito dall'art. 24 Costituzione. (Corte cost. 25 marzo 1976, n. 69).

Per effetto di ciò, il divieto di bis in idem deve trovare applicazione anche con riferimento alla disciplina del rap­porto di lavoro, in relazione alla quale, infatti, è stato elaborato il principio per cui non è possibile sanzionare la medesima condotta due o più volte in conseguenza di una sua diversa valutazione e/o configurazione giuridica.

La Corte di Cassazione ha, quindi, ribadito che, una volta esercitato, il potere disciplinare si estingue, cosicché il datore di lavoro, allorché abbia già sanzionato deter­minate infrazioni disciplinari, non può farlo una secon­da volta, essendogli solo consentito, ai sensi dell'art. 7, u.c., legge n. 300/1970, di tenere conto della sanzione applicata ai fini della recidiva (Corte di Cassazione 17 gennaio 1992, n. 565, Cassazione 28 gennaio 1999, n. 767)