È illegittimo il licenziamento del lavoratore che, in permesso ex art.33 della legge n. 104/1992 per assistere la moglie disabile, affetta da asma bronchiale, la accompagni presso una località marina nei mesi invernali per farle respirare aria salubre e si occupi di portare il cane dal veterinario. Entrambe le condotte rientrano nel concetto di assistenza, considerato che è notorio che il soggiorno al mare, anche nei periodi invernali, possa portare giovamento ai pazienti asmatici e che anche condurre il cane dal veterinario ha una ricaduta positiva nei confronti della moglie che si è vista esonerata dal condurre l’animale presso una struttura veterinaria.
La corte di Cassazione respingendo il ricorso della società datrice di lavoro ha sostenuto che nella fattispecie non si evince una condotta abusiva della fruizione dei permessi. I giudici di legittimità hanno rilevato che la Corte d’appello ha premesso che al lavoratore era stato contestato di aver abusato dei permessi in questione ottenuti per prestare assistenza al coniuge affetto da asma bronchiale grave qualificato come handicap in situazione di gravità. La valutazione in un primo momento si è concentrata sui giorni nei quali il reclamante ha accompagnato la moglie presso località di soggiorno marino, trascorrendo con lei, al mare, alcune giornate di permesso. Nell’escludere il carattere abusivo di tali condotte, ha osservato che: «è notorio che il soggiorno al mare, anche nei periodi invernali, possa portare giovamento ai pazienti asmatici, come del resto comprovato dai plurimi pareri medici prodotti agli atti». Quindi, ha svolto ulteriori considerazioni volte a spiegare perché «la presenza del marito durante il soggiorno al mare della coniuge avesse finalità assistenziali per quest’ultima». È dunque evidente che si è trattato di una valutazione complessiva, in cui il dato desunto dalla comune esperienza è stato corroborato dalle altre emergenze istruttorie, che tutte hanno concorso alla formazione del convincimento del giudicante. Quanto ai giorni rispetto ai quali al lavoratore era stato contestato di aver «utilizzato parte dei permessi oggetto di causa per portare il cane dal veterinario», ha condotto la stessa Corte, non a ritenere che accudire li cane domestico rientri nel precetto normativo di “assistenza al disabile”, come invece sostenuto dalla ricorrente, bensì ad escludere «la rilevanza disciplinare della condotta ascritta» al lavoratore. I giudici d’appello hanno, tra l’altro, apprezzato l’impiego di una frazione di tempo assai limitata rispetto alla durata complessiva del permesso per il trasporto del cane dal veterinario. La Corte di legittimità ha, quindi, rigettato il ricorso, rilevando che la valutazione del grado di sviamento della condotta concreta rispetto al legittimo esercizio del diritto, spetta al giudice del merito e non è sindacabile direttamente in sede di legittimità.
Corte di Cassazione, Sez. Lav., ord. 9 maggio 2024, n. 12679