Nella valutazione della giusta causa di licenziamento il giudice non è soggetto ad alcun vincolo derivante dalla tipizzazione contrattuale collettiva e può fare riferimento alle valutazioni di gravità di determinate condotte presenti nei CCNL come espressive di criteri di normalità dovendo appunto "tenerne conto", con il solo limite di non potere, qualora un determinato comportamento del lavoratore addotto dal datore di lavoro a giusta causa di licenziamento sia previsto integrare una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa, farne oggetto di un'autonoma valutazione di maggior gravità.

La Suprema Corte, in continuità con il consolidato orientamento sul punto, afferma, innanzitutto, che la "clausola generale della giusta causa", in quanto norma cd. "elastica", indica solo parametri generali e presuppone da parte del Giudice un'attività di integrazione giuridica della norma, a cui dà così concretezza per adeguarla ad un determinato contesto storico-sociale.

In particolare, la Corte di Cassazione ribadisce l'orientamento (Cass. n. 4060 del 2011; Cass. n. 2830 del 2016; Cass. n. 21162 del 2018) secondo cui il giudice, nell'accertamento della sua sussistenza o meno della "giusta causa", non sia soggetto ad alcun vincolo derivante dalla tipizzazione datane dalla contrattuale collettiva che ha valenza «meramente esemplificativa» e non impedisce una valutazione circa l'idoneità di un grave inadempimento del lavoratore «contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile» e l'irreparabilità del rapporto fiduciario con il suo datore di lavoro.

Il giudice, secondo la Corte di Cassazione, ha il solo limite di non potere svolgere un'autonoma valutazione di maggiore gravità qualora il comportamento contestato al lavoratore posto a fondamento del licenziamento per giusta causa integri una specifica infrazione disciplinare per cui la disciplina contrattuale collettiva preveda, invece, una sanzione conservativa (Cass. n. 13353 del 2011; Cass. n. 9223 del 2015; Cass. 8621 del 2020).

Sulla proporzionalità della sanzione disciplinare, la Corte di Cassazione, ha poi ribadito i principi in merito al relativo giudizio, che va operato «tenuto conto di tutti i connotati oggettivi e soggettivi della vicenda: entità del danno, grado della colpa o intensità del dolo, esistenza o meno di precedenti disciplinari», sia in sede di irrogazione della sanzione da parte del datore, sia da parte del giudice del merito, il cui apprezzamento, se sorretto da adeguata e logica motivazione – come è stato ritenuto nel caso di specie - si sottrae a censure in sede di legittimità.

Corte di Cassazione Sez. Lav. 7 aprile 2021 n. 9304