In materia di appalti pubblici il contenzioso dei tribunali amministrativi spesso riguarda la risoluzione di due questioni ancora oggi controverse, nel senso che conoscono due orientamenti distinti. Tali questioni sono la possibilità di impugnare il bando da parte di un soggetto che non abbia presentato domanda di partecipazione e l’impugnazione avverso le clausole di un bando di gara pubblica che non rivestano portata escludente.
Per quanto riguarda l’impugnabilità da parte di un soggetto non partecipante, il Consiglio di Stato ha ritenuto che dinanzi all’incertezza del bando di gara, tale da non poter consentire di formulare un’offerta consapevole, sussiste la legittimazione e l’interesse all’impugnativa da parte dell’operatore del settore che non abbia partecipato alla gara (così Consiglio di Stato, Sez. III, 11/03/2021, n. 2093). Tale assunto si innesta in un filone di pronunce del medesimo consesso, in cui è stato riconosciuto che se è vero che l’esito di una procedura di gara è impugnabile solamente da colui che vi ha partecipato, è pur vero che a tale regola generale si deroga allorché l’operatore contesti in radice l’indizione della gara ovvero all’inverso contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto, ovvero ancora impugni direttamente le clausole del bando assumendone l’immediato carattere escludente: in tali ipotesi infatti la presentazione della domanda di partecipazione costituirebbe un inutile adempimento formale, privo della benché minima utilità in funzione giustiziale(Consiglio di Stato, Ad. Plen. 26 aprile 2018, n. 4).
In particolare, la posizione maggioritaria osservata dal Consiglio di Stato si basa su tre assunti fondamentali, correntemente ripetuti altre pronunce anche dall’Adunanza Plenaria, secondo cui:
a) la regola generale è quella per cui solo chi ha partecipato alla gara è legittimato ad impugnare l'esito della medesima, in quanto soltanto a quest’ultimo è riconoscibile una posizione differenziata;
b) i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato;
c)possono essere tuttavia enucleate alcune eccezioni a tale principio generale, individuandosi taluni casi in cui deve essere impugnato immediatamente il bando di gara, nonché particolari fattispecie in cui a tale impugnazione immediata deve ritenersi legittimato anche colui che non ha proposto la domanda di partecipazione.
Passando ai quesiti rivoltigli, l’Adunanza plenaria ritiene che non sussistano ragioni per ritenere che il soggetto che non abbia presentato la domanda di partecipazione alla gara possa esser legittimato ad impugnare clausole del bando che non siano “escludenti”. L’operatore del settore che non ha partecipato alla gara, infatti, al massimo potrebbe essere portatore di un interesse di mero fattoalla caducazione dell'intera selezione (ciò al fine di poter presentare la propria offerta in ipotesi di riedizione della nuova gara), ma tale preteso interesse “strumentale” avrebbe consistenza meramente affermata, ed ipotetica: egli, infatti, non avrebbe provato e neppure dimostrato quell’interesse “differenziato” che ne avrebbe radicato la legittimazione, essendosi astenuto dal presentare la domanda, pur non trovandosi al cospetto di alcuna clausola “escludente”; ed anzi, tale preteso interesse avrebbe già trovato smentita nella condotta omissiva tenuta dall’operatore del settore, in quanto questi, pur potendo presentare l’offerta si è astenuto dal farlo.
L’Adunanza, quanto al tema del dies a quo a partire dal quale l’offerente deve proporre l’impugnazione avverso le clausole del bando prive di immediata lesività in quanto non “escludenti” (ma ritenute illegittime) ha premesso che l’esigenza di una trattazione unitaria e concentrata nelle controversie in materia di appalti trova conforto nell’art. 120, comma 7, C.p.a. (che eccezionalmente, per le sole controversie disciplinate dal c.d. rito appalti, impone il ricorso ai motivi aggiunti c.d. impropri allorquando si debbano impugnare nuovi provvedimenti attinenti alla medesima procedura di gara).
I giudici della Plenaria hanno poi aggiunto che né il vecchio Codice dei contratti né il nuovo Codice consentono di affermare che debba imporsi all’offerente di impugnare immediatamente la clausola del bando che prevede, ad esempio, il criterio di aggiudicazione, ove la ritenga errata: versandosi nello stato iniziale ed embrionale della procedura, non vi sarebbe infatti né prova né indizio della circostanza che l’impugnante certamente non sarebbe prescelto quale aggiudicatario; in tal modo, si imporrebbe all’offerente di denunciare la clausola del bando sulla scorta della preconizzazione di una futura ed ipotetica lesione, al fine di tutelare un interesse (quello strumentale alla riedizione della gara), certamente subordinato rispetto all’interesse primario (quello a rendersi aggiudicatario), del quale non sarebbe certa la non realizzabilità.
I magistrati di Palazzo Spada hanno quindi scrutinato i rischi che deriverebbero dall’imporre l’immediata impugnazione di qualsiasi clausola del bando: a) tutti gli offerenti che ritengano di potere prospettare critiche avverso prescrizioni del bando pur non rivestenti portata escludente sarebbero incentivati a proporre immediatamente l’impugnazione (nella certezza che non potrebbero proporla successivamente); b) al contempo, in vista del perseguimento del loro obiettivo primario (quello dell’aggiudicazione) essi sarebbero tentati di dilatare in ogni modo la tempistica processuale (in primis omettendo di proporre la domanda cautelare), così consentendo alla stazione appaltante di proseguire nell’espletamento della gara, in quanto, laddove si rendessero aggiudicatarie prima che il ricorso proposto contro il bando pervenga alla definitiva decisione, essi potrebbero rinunciare al detto ricorso proposto avverso il bando, avendo conseguito l’obiettivo primario dell’aggiudicazione; c) soltanto laddove non si rendessero aggiudicatari, a quel punto, coltiverebbero l’interesse strumentale alla riedizione della procedura di gara incentrato sul ricorso già proposto avverso il bando.
Per contro, in questo genere di contesto, le stazioni appaltanti sarebbero ragionevolmente tentare di rallentare l’espletamento delle procedure di gara contestate, in attesa della decisione del ricorso proposto avverso il bando.
In conclusione, ad avviso dell’Alto Consesso trova persistente applicazione l’orientamento secondo il quale le clausole non escludenti del bando vadano impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione(cioè, l’avvenuta aggiudicazione a terzi), considerato altresì che la postergazione della tutela avverso le clausole non escludenti del bando, al momento successivo ed eventuale della denegata aggiudicazione, secondo quanto già stabilito dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003, non si pone certamente in contrasto con il principio di concorrenza di formazione europea, perché non lo oblitera, ma lo adatta alla realtà dell’incedere del procedimento nella sua connessione con i tempi del processo.