Pur se il giustificato motivo soggettivo si caratterizza rispetto alla giusta causa in quanto ravvisabile in presenza di condotte che, seppure idonee a ledere il vincolo fiduciario, per la loro minore gravità, non legittimano l'interruzione immediata del rapporto e, quindi, sono compatibili con la momentanea prosecuzione dello stesso (ciò sulla base del combinato disposto degli articoli 2119 codice civile, 1 e 3 della legge n. 604 del 1966), non sussistono differenziazioni qualitative fra i due diversi tipi di licenziamento disciplinare, perché il profilo distintivo attiene alla gravità della violazione contrattuale addebitata al dipendente, che è minore nell'ipotesi del licenziamento senza preavviso, pur essendo entrambe le fattispecie accomunate dalla necessità che la sanzione espulsiva sia fondata su inadempimenti contrattuali di entità tale da ledere il vincolo fiduciario posto a fondamento del rapporto, minando l'affidamento che il datore di lavoro deve poter riporre sulla futura correttezza dell'adempimento della prestazione lavorativa.

La fiducia, infatti, è fattore che condiziona la permanenza del vincolo contrattuale e può avere un'intensità differenziata a seconda della funzione, della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell'oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che le stesse esigono.

Nella fattispecie il dipendente di una pubblica amministrazione è stato licenziato per giustificato motivo soggettivo perchè  aveva posto in essere nell'arco di due anni, dei comportamenti attestanti il perdurare di una situazione di scarso rendimento dovuta ad assenteismo, negligenza e ad altri fatti dimostrativi della piena incapacità di adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio.

Contro la decisione del Tribunale di merito che ha ritenuto legittimo il licenziamento il dipendente ha proposto ricorso davanti la Corte di Cassazione, lamentando, tra gli altri motivi, che la sentenza impugnata non aveva offerto una coerente disamina sulla proporzionalità della sanzione irrogata ovvero sulla effettiva e definitiva compromissione del vincolo fiduciario (Corte di Cassazione, sez. lav., sentenza del 4 maggio 2021, n. 11635).

La Suprema Corte ha respinto il ricorso affermando che il dipendente non aveva offerto alcuna valida giustificazione, in fatto, sui periodi di mancata presenza in ufficio ovvero di ripetuta violazione degli orari di lavoro oggetto dell'addebito disciplinare, per cui deve ritenersi che tali fatti fossero dimostrativi del venir meno del vincolo fiduciario, dovendo, altresì, essere esclusa, sulla base di una puntuale disamina degli esiti istruttori, ogni ragione giustificativa dei comportamenti addebitati al predetto.