L'affermazione è contenuta nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1527 del 5 marzo 2019.
Il Collegio ha infatti confermato il principio – già recepito dal primo giudice – della inapplicabilità degli istituti, di derivazione penalistica, del falso innocuo e del falso inutile nelle procedure ad evidenza pubblica, atteso che in tale contesto la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire poiché consente, anche in ossequio al principio di buon andamento dell’Amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla selezione.
Pertanto, una dichiarazione che è inaffidabile perché, al di là dell’elemento soggettivo sottostante, è falsa o incompleta, deve ritenersi di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare.
Il Collegio ha avuto modo di precisare, inoltre, che si ha falso innocuo, od inutile (e, quindi, una concreta manifestazione di un “reato impossibile “ per inesistenza dell’oggetto od inidoneità dell’azione ex art. 49 comma 2 Cod. pen.) quando – secondo un giudizio da svolgersi ex ante – non v’era alcuna possibilità di offendere l’interesse protetto (es: il notaio che attesta il falso su un elemento distonico ed inconferente con l’oggetto dell’atto che roga; il falsario che falsifica una banconota in modo così grossolano da non potere trarre in inganno neppure un minore, etc.); nel caso di specie, però, non è dato rilevare una tale evidenza, atteso che nulla consente obiettivamente di escludere che l’aver omesso di indicare (per di più ad una stazione appaltante militare) il precedente di cui trattasi avrebbe potuto avere l’effetto di far preferire l’appellante rispetto ad altro aspirante.