Il limite dei due anni - in effetti non superabile nell'arco della vita lavorativa anche nel caso di godimento cumulativo di entrambi i genitori - si riferisce a ciascun figlio che si trovi nella prevista situazione di bisogno, in modo da non lasciarne alcuno privo della necessaria assistenza che la legge è protesa ad assicurare.
Un lavoratore dipendente, avendo già fruito di due anni del congedo ex art. 4, comma 2, L. 53/2000 per assistere la figlia secondogenita portatrice di handicap grave, ha richiesto al Tribunale il riconoscimento del proprio diritto di beneficiare di ulteriori due anni di congedo, ai sensi dell'art. 42 comma 5 D.Lgs. 151/2001, per assistere il terzo figlio, pure portatore di handicap.
Avverso l'accoglimento della richiesta da parte del Tribunale l'INPS proponeva ricorso per Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell' artt. 42, secondo comma, D.Lgs. 151/2001, nel testo vigente ratione temporis, e dell'art. 4, secondo comma, L. 53/2000 e art. 2, secondo comma, D.M. 278/2000, affermando che non sarebbe possibile fruire più di una volta del congedo biennale nell'arco della vita lavorativa, in quanto il citato articolo 4 dispone espressamente "periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni".Tale scelta legislativa, a dire del ricorrente, costituirebbe frutto del bilanciamento tra la tutela di situazioni familiari gravose e l'interesse alla produttività nazionale ex art. 41 Cost., considerato che, in caso di necessità, potrebbe fruire del congedo biennale l'altro genitore che non ne abbia usufruito.
La Corte di Cassazione respingendo la richiesta dell'INPS, richiamati i propri precedenti n. 11031/2017 e 4623/2010 (in materia di fruizione dei permessi di cui all'art. 42 D.Lgs. 165/2001), ha affermato che nessuna delle disposizioni legislative richiamate dall'INPS intende riferirsi letteralmente alla durata complessiva dei possibili congedi fruibili dall'avente diritto, nell'ipotesi in cui i soggetti da assistere fossero più di uno.
Le stesse norme, invece, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata ai sensi degli articoli 2, 3 e 32 Cost., possono essere intese soltanto nel senso che il limite dei due anni - in effetti non superabile nell'arco della vita lavorativa anche nel caso di godimento cumulativo di entrambi i genitori - si riferisce a ciascun figlio che si trovi nella prevista situazione di bisogno, in modo da non lasciarne alcuno privo della necessaria assistenza che la legge è protesa ad assicurare.
La Corte richiama la propria pronuncia a Sezioni Unite n. 16102/2009, che ha precisato che la configurazione giuridica delle posizioni soggettive riconosciute dalla L. 104/1992, va individuata alla luce dei numerosi interventi della Corte Costituzionale, che colloca le agevolazioni in esame all'interno di una sfera di applicazione della legge diretta ad assicurare, in termini il più possibile soddisfacenti, la tutela dei soggetti svantaggiati.Il destinatario, infatti, della tutela realizzata mediante le agevolazioni previste dalla legge non è il nucleo familiare in sé, ovvero il lavoratore onerato dell'assistenza, bensì la persona portatrice di handicap (cfr. Corte Cost. 19/2009).D'altra parte, nei medesimi termini si esprime oggi l'art. 42 D.Lgs. 151/2001, come modificato dall'art. 4 D.Lgs. 119/2011, che ha introdotto il comma 5-bis: "il congedo fruito ai sensi del comma 5 non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa".Ritiene la Corte che tale esplicitazione normativa deve ritenersi confermativa del tenore della legge precedente (anche ai sensi delle Circolari INPDAP 2/002 e 31/2004) e pertanto il ricorso deve essere respinto.
Corte di Cassazione, Sez. Lav., 23 novembre 2020, n. 26605