Nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, la causa violenta consiste in un evento che con forza concentrata e straordinaria agisca, in occasione di lavoro, dall'esterno verso t'interno dell'organismo del lavoratore, determinando una rottura dell'equilibrio organico. Con riguardo a un infarto cardiaco, che di per sé non integra la causa violenta, va accertato se la rottura dell'equilibrio nell'organismo del lavoratore sia da collegare causalmente a specifiche condizioni ambientali e di lavoro improvvisamente eccedenti la normale adattabilità e tollerabilità.
Nella fattispecie oggetto della decisione della Suprema Corte la ricorrente aveva convenuto in giudizio l'Inail esponendo che il proprio coniuge era deceduto in servizio improvvisamente per arresto cardiaco. Il defunto prestava servizio di vigilanza presso il giudice di pace.
La ricorrente aveva dedotto che il defunto marito, nell'espletamento della propria attività lavorativa, aveva subito reiterati atti di intimidazione, che avevano determinato in lui un continuo stato di stress psicologico.
Premesso quanto sopra, la ricorrente aveva chiesto, previa qualificazione del decesso come infortunio sul lavoro ovvero come conseguenza di una malattia contratta a causa di servizio, la corresponsione delle indennità di legge.
L’INAIL costituitosi in giudizio, aveva eccepito la mancanza di prova del nesso causale tra attività lavorativa ed evento letale, considerato anche che il lavoratore era affetto da cardiopatia ipertensiva e broncopneumopatia cronica.
La domanda è stata accolta dal tribunale, ma successivamente, a seguito di ricorso dell’INAIL, la Corte di Appello ribaltando il giudizio, ha ritenuto che non vi fossero prove delle circostanze in cui avvenne la morte, né dello stato ansioso in cui egli si trovava. Per la Corte di Appello non era sufficiente che la morte fosse intervenuta durante il lavoro perché la stessa potesse essere ricondotta ad un infortunio sul lavoro suscettibile di indennizzo, atteso che, a tal fine, occorreva la prova di un nesso causale e non di un semplice collegamento marginale o un rapporto di coincidenza cronologica o topografica. Secondo la Corte di Appello si sarebbe dovuto verificare un «evento» che, in occasione del lavoro, agisse con forza straordinaria e concentrata dall’'esterno verso l'interno dell'organismo del lavoratore, senza che in tale definizione potesse rientrare uno stress emotivo ricollegabile al lavoro dell'assicurato, privo della consistenza di evento eccezionale ed abnorme in grado di determinare una rottura dell'equilibrio organico.
Di conseguenza, la Corte d'Appello aveva concluso nel senso che il decesso fosse avvenuto per una patologia comune, priva di rapporto causale o concausale con l'attività svolta.
La Corte d cassazione ha confermato la sentenza d’appello richiamando la massima secondo la quale «non è revocabile in dubbio che un infarto, anche in soggetto già sofferente di cuore e iperteso, possa costituire infortunio sul lavoro, ma occorre la prova che tale evento, normalmente ascrivibile a causa naturale, sia stato causato o concausato da uno sforzo, ovvero dalla necessità di vincere una resistenza inconsueta o un accadimento verificatosi nell'ambito del lavoro il quale abbia richiesto un impegno eccedente la normale adattabilità e tollerabilità» (cfr. Cass. 29 agosto 2003, n. 12685).
Corte di cassazione sez. lav. 15 dicembre 2009, n.26231