Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro ovvero a malattia professionale, in quanto riconducibili alle generali nozioni di infortunio e malattia di cui all'art. 2110 c.c., sono normalmente computabili nel periodo di conservazione del posto di lavoro. Affinché l'assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia origine professionale, e cioè meramente connessa alla prestazione lavorativa, essendo necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.
Preliminarmente è stato ribadito il consolidato orientamento di legittimità (ex plurimis Cass. 26495/2018; Cass. 24742/2018 e Cass. 122808/2018) secondo cui l'art.2087 c.c. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro, di natura contrattuale, va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Di conseguenza, incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra luna e l'altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova, sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.
Quindi, la riconosciuta dipendenza delle malattie da una causa di servizio non implica necessariamente, né può far presumere, che gli eventi dannosi siano derivati dalle condizioni di insicurezza dell'ambiente di lavoro, potendo essi dipendere piuttosto dalla qualità intrinsecamente usurante della prestazione lavorativa e dal conseguente logoramento psico-fisico del dipendente, restando tale ipotesi al di fuori dell'art. 2087 c.c., che riguarda una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici. In altri termini, la prova della causa di servizio dell'evento patologico deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che deve essere ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità, non già di mera possibilità dell'origine professionale.
Con specifico riguardo all'oggetto della presente nota, vale a dire alla computabilità o meno delle assenze per malattia professionale ai fini del superamento del periodo di comporto, la Suprema Corte ha ribadito il principio di diritto (già affermato in Cass. 15972/2017) secondo cui le assenze del lavoratore dovute a malattia professionale non devono essere conteggiate nel periodo di comporto solo quando, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087.
Corte di Cassazione Sez. Lav. 27 febbraio 2019, n. 5749