La Corte di cassazione Sez. Lav., con sentenza del 13 febbraio 2023, n. 4332 ha affermato che nei casi in cui la contrattazione collettiva di categoria prevede nella lettera di alcune sue clausole un unico termine di comporto con riferimento sia alle assenze che all'infortunio, il giudice di merito deve accertare - all'esito di una interpretazione logico-sistematica di tutte le clausole che regolano l'istituto - se siano rinvenibili o meno nell'ambito della predetta contrattazione elementi sufficienti di identificazione di una volontà delle parti negoziali volta a fissare una indifferenziata disciplina, con la fissazione di un unico termine congruo di comporto (da valutarsi anche con riferimento alla specificità dell'attività spiegata dal datore di lavoro), sia per le assenze che per gli infortuni o se, di contro, siano riscontrabili, all'interno della stessa contrattazione, elementi che attestino una diversa volontà e che siano anche sufficienti all'individuazione di termini di comporto differenziati in ragione della causa delle assenze (se derivanti o meno da infortunio) e di quella degli infortuni.
Nella fattispecie in esame il dipendente ha impugnato il licenziamento perchè il datore di lavoro aveva ricompreso nel novero delle assenze anche i giorni di mancata presenza per infortunio.
Il Tribunale in primo e secondo grado ha giudicato illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto irrogato a una lavoratrice.
La Corte d'Appello in particolare ha rilevato che da una disamina complessiva del CCNL applicato traspariva la volontà di accordare un diverso trattamento agli istituti della malattia e dell'infortunio, con conseguente impossibilità di ricomprendere quest'ultimo nelle assenze idonee a legittimare il recesso per superamento del periodo di comporto.
Contro la pronuncia della Corte di appello ha ricorso in Cassazione il datore di lavoro lamentando l'erronea interpretazione della normativa per avere la Corte territoriale ritenuto le assenze per infortunio della lavoratrice non computabili nel periodo di comporto: così non osservando i criteri ermeneutici di letteralità (per essere sia la malattia che l'infortunio compresi nella generale categoria dell'infermità) ma anche logico sistematici, in assenza di un'espressa disciplina di esclusione dell'infortunio sul lavoro, non dipendente da responsabilità datoriale ai sensi dell'articolo 2087 c.c., in contrasto con la disciplina legale a tutela della libertà di iniziativa economica datoriale dall'eccessiva morbilità del lavoratore.
La Suprema Corte ha respinto il ricorso affermando che nei casi in cui la contrattazione collettiva di categoria prevede nella lettera di alcune sue clausole un unico termine di comporto con riferimento sia alle assenze che all'infortunio, il giudice di merito deve accertare - all'esito di una interpretazione logico-sistematica di tutte le clausole che regolano l'istituto - se siano rinvenibili o meno nell'ambito della predetta contrattazione elementi sufficienti di identificazione di una volontà delle parti negoziali volta a fissare una indifferenziata disciplina, con la fissazione di un unico termine congruo di comporto (da valutarsi anche con riferimento alla specificità dell'attività spiegata dal datore di lavoro), sia per le assenze che per gli infortuni o se, di contro, siano riscontrabili, all'interno della stessa contrattazione, elementi che attestino una diversa volontà e che siano anche sufficienti all'individuazione di termini di comporto differenziati in ragione della causa delle assenze (se derivanti o meno da infortunio) e di quella degli infortuni.
Inoltre, la suprema corte ha richiamato la propria giurisprudenza secondo la quale «ai fini della tutela predisposta dall'articolo 2110 c.c. l'infortunio sul lavoro deve essere equiparato alla malattia, senza che l'eventuale diversità dei rispettivi sistemi di accertamento sia di ostacolo a una loro considerazione unitaria ad opera della contrattazione collettiva ai fini della determinazione del periodo di comporto per sommatoria» e che «nessuna norma imperativa vieta che disposizioni collettive escludano dal computo delle assenze ai fini del cosiddetto periodo di comporto, cui fa riferimento il richiamato articolo 2110 c.c., quelle dovute a infortuni sul lavoro, né tale esclusione - che è ragionevole e conforme al principio di non porre a carico del lavoratore le conseguenze del pregiudizio da lui subito a causa dell'attività lavorativa espletata - incontra limiti nella stessa disposizione che, come lascia ampia libertà all'autonomia delle parti nella determinazione di tale periodo, così non può intendersi preclusiva di una delle forme di uso di tale libertà, quale è quella di delineare la sfera di rilevanza delle malattie secondo il loro genere e la loro genesi» (Cass. 10 agosto 2012, n. 14377).