Il recesso intimato nel corso del periodo di prova data la sua natura discrezionale non deve essere mo­tivato atteso che l'obbligo di motivazione sussiste so­lo ove la legge preveda motivi tipici di recesso (come nel caso dei rapporti di lavoro assistiti da stabilità obbligatoria o reale) in funzione dell'accertamento dell'effettività del motivo. L'esercizio del potere di re­cesso consentito anche nel corso del periodo di pro­va deve peraltro essere coerente con la causa del contratto sicché incombe sul lavoratore l'onere di provare che il recesso è stato determinato da motivo illecito o che la prova non si è svolta in tempi o mo­dalità adeguati o che essa è stata positivamente su­perata. Dall'eventuale declaratoria di illegittimità del recesso durante il periodo di prova consegue peral­tro o la prosecuzione - ove possibile - della prova per il periodo mancante al termine prefissato oppure il risarcimento del danno.

La Suprema Corte ha ricordato il proprio costante orientamento secondo cui il recesso del lavoratore in prova è illegittimo se viene chiamato a svolgere man­sioni non previste dal patto di prova, in quanto tale modalità di esperimento non risulta adeguata ad ac­certare la capacità lavorativa del prestatore. Ciò pre­messo, la Corte di Cassazione ha evidenziato la distin­zione tra l’ipotesi del licenziamento per illegittima ap­posizione del patto di prova al contratto di lavoro e l’ipotesi di recesso intimato in regime di lavoro in pro­va per essere legittima la clausola recante il patto di prova.

La Corte ha quindi cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello in quanto ha concluso che «in costanza di un valido patto di prova, la mancata corretta esecu­zione del medesimo, svolgendo i suoi effetti sul piano dell’inadempimento senza generare una nullità non prevista, non determina automaticamente la conver­sione in un rapporto a tempo indeterminato, bensì, co­me ogni altro inadempimento, la richiesta del creditore di esecuzione del patto - ove possibile - ovvero di ri­sarcimento del danno; eventualmente la circostanza fattuale dell’adibizione a mansioni diverse da quelle previste dalla prova può costituire, unitamente ad altri elementi, il sintomo di una ragione della risoluzione estranea all’esperimento, ma in tal caso dovrà essere il lavoratore ad allegare e provare il motivo illecito ed avanzare la specifica domanda, senza che la stessa possa dirsi proposta per la mera denuncia di difformi­tà delle mansioni svolte rispetto a quelle oggetto

Corte di Cassazione, Sez. Lav. 3 dicembre 2018, n. 31159