La Corte d'appello di Potenza ha confermato una sentenza di I grado, con la quale il Tribunale del capoluogo lucano aveva annullato un avvertimento scritto ingiustamente inflitto a una docente (181/2019 del 3 ottobre scorso). L'amministrazione scolastica è stata condannata al pagamento di 6.615 euro di spese legali, ai quali si aggiungono 1.455,3 euro di Iva (22%) e 264,6 euro per i contributi previdenziali della cassa degli avvocati. In tutto: 8334,9 euro. Importo destinato a salire perché bisognerà sommare anche le spese vive che comprendono i costi dei rimborsi chilometrici e altre voci. Che variano a seconda della situazione logistica. Alle spese del secondo grado, nel caso specifico, vanno aggiunti altri 3780 euro derivanti dalla soccombenza in primo grado, più le spese vive, sempre del I grado (775/2017 del 26/09/2017). Alla fine la parcella che dovrà essere liquidata dai contribuenti ammonterà a 12.111,9 euro. Più le spese vive.

Tutto ciò perché il decreto Brunetta ha cancellato dal nostro ordinamento la possibilità di risolvere le controversie di lavoro utilizzando i rimedi stragiudiziali. La vicenda mette in luce i costi proibitivi dell'accesso alla giustizia dei tribunali, ai quali i docenti e i non docenti sono costretti a rivolgersi anche, come in questo caso, per le controversie che riguardano questioni bagatellari. E quando vedono soccombere il contraente debole, espongono docenti e Ata ad esborsi che, stante le basse retribuzioni, possono ammontare anche all'equivalente di un'annualità di stipendio.

La questione, peraltro, pone in evidenza anche gli effetti dilatori sui procedimenti. Il caso oggetto della pronuncia della Corte d'appello di Potenza risaliva, infatti, al 2015. E potrebbe durare ancora diversi anni, se l'amministrazione decidesse di presentare ricorso per cassazione. Laddove i costi aggiuntivi, di solito, non sono mai inferiori ai 5 mila euro. Va fatto rilevare, peraltro, che l'assenza di rimedi stragiudiziali riguarda non solo la scuola, ma anche il resto del pubblico impiego. Che occupa circa 3 milioni e 200 mila persone. Il cui contenzioso si riversa totalmente sul giudice del lavoro, che deve occuparsi non solo di licenziamenti, indennizzi, previdenza e pensioni del settore privato, ma anche di tutte le controversie del pubblico impiego. Compreso il contenzioso disciplinare, che riguarda anche questioni che hanno per oggetto un avvertimento scritto: un richiamo scritto del dirigente scolastico per lievi mancanze, che non ha alcuna conseguenza. E che spesso viene annullato dal giudice sulla base di rilievi meramente formali. Tant'è che il ministero dell'istruzione, già nel 1980, dovette richiamare i dirigenti scolastici all'osservanza delle regole sul contraddittorio (si veda la circolare 15 novembre 1980, n. 8408/500). L'effetto di questa situazione è l'ingolfamento del contenzioso del lavoro, l'allungamento dei procedimenti e la lievitazione dei costi.

Lievitazione che è avvenuta specialmente negli ultimi anni. Perché il legislatore ha ritenuto di introdurre nell'ordinamento, come strumento deflattivo, il divieto di compensazione delle spese «salvo gravi ed eccezionali motivi» e l'assoggettamento del rito del lavoro al pagamento del contributo unificato. Ciò comporta una sperequazione di pesi economici tra le parti in lite. Da una parte i dirigenti, che nella scuola coincidono con la parte datoriale, surrogata in giudizio dall'avvocatura dello stato con costi a carico dell'amministrazione. E dall'altra parte il contraente debole: i docenti, il personale amministrativo, tecnico e ausiliario. La sperequazione risulta evidente se si considera che i docenti, che sono la categoria che ha lo stipendio più alto, hanno retribuzioni che, a orario pieno, vanno da un minimo di 1.300 euro a un massimo di 2 mila. E fa emergere la necessità di introdurre rimedi stragiudiziali alternativi al ricorso al giudice, auspicabili per vari motivi. Prima di tutto la necessità di consentire l'accesso alla giustizia del lavoro anche ai soggetti economicamente deboli. Poi l'opportunità di evitare pesanti aggravi economici per i contribuenti per le soccombenze. E infine, ma non ultimo, la necessità di sgravare il giudice del lavoro della mole imponente di contenzioso bagatellare, che allunga la durata dei processi e distrae risorse e personale altamente qualificato.

Un tentativo di soluzione è attualmente all'esame del parlamento. Si tratta del disegno di legge (As 1097) presentato da Bianca Laura Granato, senatrice del Movimento 5 stelle. La proposta di legge prevede l'istituzione di collegi arbitrali presso gli uffici scolastici competenti in materia di provvedimenti emessi dai dirigenti scolastici nei confronti di docenti e ATA. Il collegio, secondo quanto previsto nell'articolato, dovrebbe essere formato da tre ispettori, che dovrebbero avere il potere di decidere sui reclami presentati dal personale. E la procedura sarebbe a costo zero. In caso di accoglimento la decisione della triade di ispettori avrebbe l'effetto di sostituire il provvedimento impugnato.