La vicenda di questa sentenza emessa dal tribunale di Rimini 10 novembre 2022, n. 181 nei confronti di un comune, può essere presa a riferimento anche per possibili casi analoghi che si possono manifestare in ambito scolastico per quanto concerne la responsabilità del dirigente scolastico.

La vicenda della causa riguarda un alterco avvenuto tra due colleghi dipendenti comunicali, uno di sesso maschile e uno di sesso femminile. Durante il diverbio il dipendente di sesso maschile assumeva verso la collega comportamenti molesti a connotazione sessuale.

La dipendente denuncia l'accaduto al proprio superiore e l'ente Comune nella persona del funzionario responsabile , dopo aver raccolto le informazioni sul caso, ha attivato un procedimento disciplinari nei confronti di entrambi i dipendenti a ragione dell'alterco con toni accesi avvenuto tra i due dipendenti, ma nessun addebito veniva contestato a ragione delle molestie sessuali, ritenendo che la dipendente nel fare la sua denuncia non aveva offerto adeguate elementi di prova.

Di conseguenza, il datore di lavoro ignorando la denuncia di molestie, equiparava a livello disciplinare il comportamento della lavoratrice a quello del collega responsabile della molestia, tanto da adottare nei confronti di entrambi la sanzione del rimprovero scritto.

La dipendente impugnava la sanzione disciplinare. Il Tribunale, accertato che il comportamento tenuto dal collega della ricorrente configurava la fattispecie delle molestie sessuali ex art. 26, 1 comma, del D.lgs 198/2006 ravvisava una “duplice” responsabilità del datore di lavoro.

Il Comune, infatti, veniva ritenuto responsabile non solo ai sensi dell’art 2087 c.c per non aver posto in essere tutte le misure necessarie a prevenire le molestie del dipendente, ma anche ai sensi dell’art.26, comma 3, del citato D.lgs per aver il datore di lavoro sottoposto la denunciante a procedimento disciplinare.

L’art.26, 3 comma, del D.lgs 198/2006 stabilisce infatti che «… sono considerati, altresì, discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne».

Di conseguenza, a tenore di detta disposizione, il tribunale ha ritenuto responsabile il datore di lavoro per aver minimizzato la denuncia presentata dalla vittima, addirittura irrogandole una sanzione discxiplinare.

Il Gidice rileva invece come l’art. 72 del CCNL 2019/2021 per il personale del Comparto Enti Locali (applicato nel caso in esame) preveda espressamente la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di undici giorni a un massimo di sei mesi nel caso di comportamenti configuranti molestie sessuali.

Nonostante la specifica previsione nelle norme contrattuali il Comune, nell’ambito del procedimento disciplinare attivato nei confronti del dipendente responsabile del comportamento molesto, non ha contestato l'episodio della molestia sessuale.

Di conseguenza, afferma il Tribunale nella sentenza «il Comune ha omesso di verificare in modo preciso ed adeguato i fatti occorsi tra la ricorrente e il proprio collega, compiendo un’istruttoria incompleta ed approssimativa, concentrandosi esclusivamente sulla discussione intercorsa tra i due e considerando irrilevanti i comportamenti sessualmente molesti compiuti» dal dipendente nei confronti della collega. In applicazione del disposto ex art. 26, comma 3, del D.lgs 198/2006 nonché dell’art. 2087 c.c e dell’art. 57 del D.lgs 165/2001 è stata quindi accertata la responsabilità dell’Ente sotto il duplice profilo di cui si è detto.

Ricordiamo che analoga disposizione la troviamo nel CCNL 2019/2021 nell'art. 25, comma 8, lettera c) riguardo le sanzioni applicabili al personale ATA e per quanto riguarda il personale docente dobbiamo richiamare l'art.48 dello stesso CCNL dove si afferma che: "Nelle more della sessione negoziale di cui al comma 1, rimane fermo quanto stabilito dal Capo IV Disciplina, Sezione I Sanzioni Disciplinari del d.lgs. n. 297 del 1994, incluse le seguenti modificazioni ed integrazioni all’articolo 498 comma 1 ove sono aggiunte le seguenti lettere:

“g) per atti e comportamenti o molestie a carattere sessuale che riguardino gli studenti affidati alla vigilanza del personale, anche ove non sussista la gravità o la reiterazione;"

Nel giudizio in questione è inoltre intervenuta ex art. 419 cpc ed ex art. 36 D.lgs 198/2006 la Consigliera di Parità provinciale competente per territorio, sostenendo le ragioni della ricorrente.

La sentenza in commento fa propri anche i rilievi posti dalla Consigliera di Parità, idonei a confermare le carenze del Comune in merito alla conoscenza della normativa antidiscriminatoria, tra le quali:

  • l’assenza nel DVR di qualsivoglia riferimento al rischio di discriminazioni di genere;
  • l’assenza nei Piani Triennali di Azioni Positive (che gli enti pubblici sono obbligati a redigere ex art. 48 del D.lgs 198/2006) di qualsivoglia riferimento alla questione verificatasi all’interno dell’Ente e/o l’assenza di qualsivoglia misura atta a rimuovere tali situazioni.

In conclusione il Tribunale accertato il comportamento molesto e la responsabilità del Comune ha infine provveduto ad accertare e liquidare il danno in applicazione dei principi sanciti dalle direttive europee sul tema e dalla normativa nazionale.

In particolare, il Tribunale per la determinazione del danno ha richiamato la Sentenza della Corte di Cassazione a S.U. m. 26972/2008, ed ha individua negli art. 37 e 38 del D.lgs 198/2006 la fonte legislativa della risarcibilità del danno da discriminazione e negli art. 2087 c.c e nell’art. 57 del D.lgs 165/2001 l’imputabilità al datore di lavoro di detto danno.

Sulla base di tali argomentazioni si afferma quindi la risarcibilità del danno non patrimoniale patito dalla ricorrente a seguito dell’accertata condotta discriminatoria.