In tale vicenda è discussa l'applicabilità della scriminante dell'esercizio del "diritto di rimostranza" di cui all’art. 17 del D.P.R. n. 3 del 1957. Esso consiste nella facoltà del pubblico dipendente di non eseguire un ordine, previa rimostranza a chi lo ha impartito. Tale istituto è al giorno d’oggi disciplinato dall’art. 11 lett. h del CCNL Comparto Scuola 2016-2018, dove è disposto che il dipendente deve in particolare: “eseguire le disposizioni inerenti all'espletamento delle proprie funzioni o mansioni che gli siano impartite dai superiori; se ritiene che l'ordine sia palesemente illegittimo, il dipendente deve farne rimostranza a chi lo ha impartito, dichiarandone le ragioni; se l'ordine è rinnovato per iscritto ha il dovere di darvi esecuzione; il dipendente non deve, comunque, eseguire l'ordine quando l'atto sia vietato dalla legge penale o costituisca illecito amministrativo”.
La Cassazione non ha accolto il ricorso del pubblico dipendente e ha evidenziato la carenza degli elementi per ritenere insussistenze il diritto di rimostranza nel caso esaminato
La "palese" illegittimità dell'ordine corrisponde ad una vera e propria (oggettiva) illegittimità dell'ordine stesso che - anche se non riguardi il compimento di un atto vietato dalla legge penale o costituente illecito amministrativo (come tale da non eseguire) - comunque deve essere affetto da un vizio di legittimità, cioè da uno dei vizi tipici degli atti amministrativi o da altri vizi, che nella specie rilevano come violazioni dei generali principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., i quali, alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., devono essere rispettati dalla pubblica amministrazione nell'emanazione degli atti che rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (come quelli discussi nel qui presente caso).
Si deve trattare di un'obiezione ragionevole che si basi su una reale illegittimità dell'ordine e che può essere esternata e percepita anche soltanto dal destinatario dell'ordine medesimo.
In altre parole, della facoltà del dipendente di non eseguire un ordine, previa rimostranza a chi lo ha impartito, richiede, oltre alla palese illegittimità dell'ordine, anche che il dipendente non si limiti ad un mero rifiuto, ma concreti le sue motivate obiezioni, indicando le ragioni con dichiarazioni indirizzate a colui dal quale proviene l'ordine.
Il docente non aveva obiettato nulla in merito all'assenza di una delibera del Collegio dei Docenti, non ha argomentato in modo utile sul punto perché si è limitato a fare riferimento alla Carta dei Servizi dell'Istituto scolastico e alla circolare del Dirigente scolastico in argomento.
Tuttavia, il docente sanzionato nulla ha detto in merito alla disciplina legislativa relativa ai rapporti tra Dirigente scolastico e organi collegiali della scuola (in particolare Collegio dei docenti) dopo l'istituzione della figura del dirigente delle istituzioni scolastiche (art. 25 del d.lgs. n. 165/2001), cui è attribuito il compito di assicurare la gestione unitaria dell'istituzione scolastica, avendone la legale rappresentanza ed essendo responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio.
Ragion per cui, può ritenersi legittimamente esclusa la sussistenza della "palese" illegittimità dell'ordine, allorquando il Dirigente scolastico non abbia violato le prerogative degli organi collegiali in materia di determinazione del calendario di ricevimento settimanale dei genitori, visto che non era stata emanata alcuna delibera collegiale sul punto, donde la non configurabilità del dedotto vizio di "incompetenza".
Cassazione civile, sez. Lav., 30/11/2018, n. 31086