L'espletamento di attività extralavorativa durante il periodo di assenza per malattia costituisce illecito disciplinare non solo se da tale comportamento deri­va un'effettiva impossibilità temporanea alla ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa è solo messa in pericolo dalla condotta imprudente, con una valutazione di idoneità che deve essere svolta necessaria­mente ex-ante, al verificarsi del comportamento lesivo e non ex-post al verificarsi dei danni.

Pertanto, sebbene il lavoratore assente per malat­tia non debba necessariamente astenersi dallo svolgere altre attività, queste ultime devono però essere compatibili con lo stato di malattia ed essere confor­mi all'obbligo di correttezza e buona fede gravante sul lavoratore di adottare ogni cautela idonea perché cessi lo stato di malattia, con conseguente recupero dell'idoneità al lavoro.

L’iter processuale

La questione oggetto della pronuncia riguarda il licenziato per giusta causa di un lavoratore che durante l'assenza per malattia si era esibito con la fisarmonica in uno spettacolo canoro di tipo amatoriale (evento pubblicizzato anche sulla stampa lo­cale, nonché sul profilo Facebook).

Il licenziamento è stato dichiarato legittimo in primo grado, mentre la Corte d'Appello ha disposto la reintegrazione in servizio del dipendente per "insussistenza del fatto". Ciò in quanto la Società non aveva contestato la sussistenza della malattia, ma solo l'adozione di una condotta che avrebbe potuto ri­tardare la guarigione. Avverso tale pronuncia la società proponeva ricorso per Cassazio­ne.

In particolare, con il primo motivo di ricorso la Società sosteneva che la Corte territoriale avesse errato nel non esaminare la dedotta insussistenza della malattia, posto che la contestazione riguardava un'unica situazione di fatto consistente nell'essersi il lavoratore esibito in uno spettacolo canoro durante l'asserito stato di malattia. Con ulteriore motivo di ricorso, la Società censurava la pronuncia impugnata per non aver la stessa tenuto conto di alcuni elementi che evidenziavano la simula­zione dello stato di malattia quali, ad esempio, la fissa­zione con anticipo delle date delle rappresentazioni, la distanza del luogo del concerto dalla residenza del lavo­ratore, una foto sul profilo di Facebook del lavoratore da cui si evinceva che questi suonava la fisarmonica in piedi, la durata del periodo di malattia a cavallo dell'esibizione, l'invito del medico curante a riguardarsi in ragione dello stato di salute.

La pronuncia della Cassazione

La Corte di Cassazione nel ritenere infondati i primi due motivi di ricorso, ha anzitutto ricordato che lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro - in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buonafede e degli specifici ob­blighi contrattuali di diligenza e fedeltà - oltre che nell'ipotesi in cui tale attività esterna sia per sé suffi­ciente a far presumere l'inesistenza della malattia, di­mostrando, quindi, una fraudolenta simulazione della stessa, anche nel caso in cui la medesima attività possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in ser­vizio (ex plurimis, in tal senso, Cass. n. 17625/2014, Cass. n. 24812/2016, Cass. n. 21667/2017).

Ciò purché dalla contestazione dell'addebito emerga con chiarezza il profilo fattuale che consenta una adeguata difesa del lavoratore. Proprio in relazione a tale aspetto la Corte, confermando quanto disposto dal giudice del merito, ha ritenuto che la contestazione, per come for­mulata, non riguardasse l'inesistenza in sé della malat­tia, bensì l'adozione di una condotta che potesse ritar­dare la guarigione del lavoratore.

La Suprema Corte ha invece accolto gli ulteriori quattro motivi di ricorso formulati dalla Società.

Anzitutto, secondo la Società, il lavoratore avrebbe vio­lato l'obbligo di esecuzione in buona fede del contratto sancito dagli artt. 1175 e 1375 c.c., poiché, con il proprio comportamento, avrebbe potuto ritardare la guarigione, a nulla rilevando che ciò poi non sia ac­caduto. Con l'ulteriore motivo di ricorso eccepiva che la Corte d'Appello aveva escluso la giusta causa del licen­ziamento senza valutare se la supposta lombosciatalgia avrebbe comunque consentito al lavoratore di svolgere la propria prestazione lavorativa in azienda. Infine, la Società deduceva che il giudice del merito da un lato, aveva supplito all'onere gravante sul lavoratore di di­mostrare la compatibilità delle attività extra-lavorative con la malattia, dall'altro, aveva valutato tale compati­bilità ex post (non già ex ante come avrebbe dovuto fa­re).

In accoglimento dei predetti motivi di ricorso, la Supre­ma Corte ha affermato che lo stato di malattia del lavo­ratore non comporta l'impossibilità assoluta di svolgere qualsiasi attività, ma è solo impeditiva delle normali prestazioni lavorative del dipendente, con la conseguen­za che, nel caso di un lavoratore assente per malattia il quale sia stato sorpreso nello svolgimento di altre atti­vità, spetta al dipendente, secondo il principio dell'onere della prova, dimostrare la compatibilità di dette attività con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa e, quindi, la loro inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psico-fisiche.

Ne deriva che il lavoratore assente per malattia, che quindi legittimamente non effettua la prestazione lavo­rativa, non per questo deve astenersi da ogni altra atti­vità. Tuttavia, l'espletamento di attività extra-lavorati­va durante il periodo di assenza da lavoro costituisce il­lecito disciplinare non solo se da tale comportamento derivi un'effettiva impossibilità temporanea della ripre­sa del lavoro, ma anche quando la ripresa sia anche so­lo messa in pericolo dalla condotta imprudente del lavo­ratore, con una valutazione di idoneità che deve essere svolta necessariamente ex ante (non già ex post, come invece affermato nella sentenza impugnata).

Precisato quanto precede, la Suprema Corte osserva co­me nel caso di specie la Corte d'Appello, pur richiaman­do correttamente i principi ora esposti, abbia però omesso di operare il giudizio di verifica della conformi­tà a correttezza e buona fede della condotta contestata al dipendente rispetto all'obbligo di cautela sullo stesso gravante, poiché è sul lavoratore che grava l'onere di di­mostrare la compatibilità delle attività svolte durante l'assenza da lavoro, con la malattia impeditiva dell'atti­vità lavorativa.

La Corte ha pertanto cassato con rinvio la sentenza im­pugnata in relazione a tali ultimi motivi di ricorso, e, in luogo della reintegrazione, ha affermato che, al più, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art.18, comma 5, L. 300/1970, avendo la Corte d'Appello errato nel ritene­re "insussistente" il fatto contestato ( Corte di Cassazione Sez. Lav. 13 marzo 2018, n. 6047)