Qualora l’atto adottato risulti in contrasto con norma imperativa, l’ente pubblico deve sottrarsi unilateralmente all’adempimento delle obbligazioni che trovano titolo nell’atto illegittimo, alla stregua del contraente che non osservi il contratto stipulato, ritenendolo affetto da nullità ex art. 1418 c.c. Peraltro data la natura privatistica degli atti di gestione dei rapporti di lavoro di cui all'art. 2, d.lg. n. 165/2001 non consente alle P.A. di esercitare il potere di autotutela, che presuppone la natura amministrativa del provvedimento e l'esercizio di poteri autoritativi. Qualora l'atto adottato risulti in contrasto con norma imperativa, l'ente pubblico può tuttavia sottrarsi unilateralmente all'adempimento delle obbligazioni che trovano titolo nell'atto illegittimo, alla stregua del contraente che non osservi il contratto stipulato, ritenendolo affetto da nullità.
Sul punto va evidenziato che la disciplina delle mansioni nell'impiego pubblico contrattualizzato differisce sensibilmente da quella civilistica, perchè vengono in rilievo interessi di carattere generale, quali sono quelli dell'efficienza degli uffici pubblici, del pubblico concorso (che secondo la giurisprudenza costituzionale opera anche in caso di inquadramento nella fascia funzionale superiore, cfr. Corte Cost. 29.5.2002 n. 218), del contenimento e della necessaria predeterminazione della spesa, che impongono al datore di lavoro pubblico, fatta eccezione per i casi espressamente previsti dalla legge, di assegnare al dipendente solo compiti che siano corrispondenti alla qualifica di assunzione o a quella legittimamente "acquisita per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive" (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 nel testo applicabile ratione temporis).
In detti rapporti, quindi, l'esercizio di mansioni superiori in nessun caso fa sorgere il diritto alla definitiva acquisizione della diversa qualifica, tanto che, ove l'assegnazione venga disposta dal datore senza che ricorrano i presupposti previsti dalla legge, la stessa è affetta da nullità e il dipendente può solo rivendicare il trattamento retributivo corrispondente alla qualità e quantità del lavoro prestato, limitatamente al periodo in cui la prestazione è stata eseguita. Il legislatore, inoltre, ha anche previsto, a conferma di quanto si è detto sulla presenza di interessi generali di rilievo costituzionale, la responsabilità personale del dirigente che abbia dato causa ai maggiori esborsi, ove ciò sia avvenuto in conseguenza di dolo o colpa grave (in tal senso fra le più recenti Cass. 13.6.2017 n. 14664).
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno anche evidenziato che "in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il datore di lavoro pubblico non ha il potere di attribuire inquadramenti in violazione del contratto collettivo, ma ha solo la possibilità di adattare i profili professionali, indicati a titolo esemplificativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze organizzative, senza modificare la posizione giuridica ed economica stabilita dalle norme pattizie, in quanto il rapporto è regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato. E' conseguentemente nullo l'atto in deroga, anche in melius, alle disposizioni del contratto collettivo, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perchè viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-septies, dovendosi escludere che la P.A. possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva. " (Cass. S.U. 14.10.2009 n. 21744).