La Corte di Cassazione Sez. Lav., 24 febbraio 2024, n. 4797 ha affermato che la condanna in sede penale per il reato di condotte persecutorie tenuto ai danni dell'ex compagna è un fatto idoneo a riflettersi sul rapporto di lavoro; deve pertanto ritenersi legittima la decisione assunta dal datore di lavoro di licenziare il dipendente che sia stato condannato per tale reato.
Con la sentenza in commento la Corte di cassazione affronta la questione della rilevanza, nei rapporti di lavoro, di condotte extralavorative tenute da dipendenti. Il caso su cui è chiamata a decidere si mostra emblematico dell'incertezza che può sussistere in tali ipotesi. Il ricorrente, istruttore di polizia municipale, veniva licenziato in ragione della condanna, in sede penale, per condotte persecutorie tenute ai danni dell'ex compagna. In primo grado il Tribunale, decidendo sull'impugnazione del licenziamento, dichiarava l'illegittimità dello stesso, ritenendo decisivo che il reato commesso dal lavoratore attenesse ad una sfera strettamente personale privatistica; ciò escludeva, a giudizio del giudice adito, ogni riflesso sul rapporto di lavoro. La decisione veniva tuttavia riformata in sede di appello, giacché la Corte d'appello riteneva che il reato, in ragione della sua intrinseca ed elevata antisocialità, si riflettesse anche sulla funzionalità del rapporto di lavoro; veniva, quindi, esclusa l'illegittimità del licenziamento. Avverso a tale decisione proponeva ricorso per cassazione il lavoratore, ma il ricorso, che si sostanziava nella richiesta di una revisione dell'accertamento nel merito su cui si era espressa la Corte d'appello, veniva dichiarato inammissibile, e veniva così confermata la decisione della Corte d'appello.