Ai sensi dell'art. 3, del T.U. 30 marzo 2001, n. 165, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di rapporto di pubblico impiego non privatizzato, ancorché relative ad azione di responsa­bilità contrattuale ed extracontrattuale (nella specie per ipotesi di mobbing) atteso che le due forme di responsabilità possono coesistere e concorrere laddove la domanda di risarcimento del danno biologico appaia strettamente connessa alle asserite vessazioni e persecuzioni subite sul posto di lavoro (e cioè il relativo rapporto non sia mera occasione del comportamento vessato­rio ed ostile di colleghi e superiori, ma la lesione lamentata, attinente all'inte­grità psico-fisica, configuri anche una forma di culpa in vigilando dell'Amministrazione datrice di lavoro.

L'elemento caratterizzante il fenomeno del mobbing nel pubblico impiego, tale da attrarre nella suddetta area comportamenti che altrimenti, sarebbero confinati nell'ordinaria dinamica, ancorché conflittuale, dei rapporti di lavoro, è la sussistenza di una condotta volutamente prevaricatoria volta a emarginare o estromettere il lavoratore dalla struttura organizzativa; pertanto, per potersi configurare mobbing è richiesta la dimostrazione di una "strategia che deve concretarsi in una pluralità di atti e/o comportamenti legati tra di loro che non pervengono alla soglia del mobbing, pur restando se del caso atti illegittimi o comportamenti ingiusti, se, non raggiungono la soglia della continuità e della loro particolare finalizzazione, requisiti che dimostrano la sussistenza di un disegno unitario volto a vessare il lavoratore ed a distruggerne la personalità e la figura professionale.

Anche a ritenere che il mobbing nel pubblico impiego integri un'ipotesi di responsabilità contrattuale e che di conseguenza sia il datore di lavoro a dover provare di essere esente da colpa nell'inadempimento, grava comunque sul dipendente l'onere di dimostrare la sussistenza di una strategia persecutoria o vessatoria in suo danno, non essendo sufficiente la mera percezione della "congiura" da parte dell'interessato. (TAR Emilia Romagna, Sez. I, 25 gennaio 2008, n. 108)