Massima
Dalla giusta considerazione che, in caso di continuazione di malattia, il nuovo certificato medico deve essere chiesto dal lavoratore nel primo giorno successivo a quello di scadenza del primo certificato, anche se si tratta di un giorno festivo, non può trarsi la conseguenza che anche la domenica possa essere contestata, sul piano disciplinare, come giorno di assenza ingiustificata dal servizio.
Si rammenta, poiché la sanzione del licenziamento è prevista dalla norma di legge che si assume violata nel caso di cumulo, nell'arco temporale previsto, di più di tre giorni di assenza ingiustificata, che l'errata considerazione dell’assenza ingiustificata per un solo giorno è sufficiente per determinarne l'illegittimità dell’intero provvedimento disciplinare.
Ma è di tutta evidenza, osserva la Corte di cassazione, che, ai fini della rilevanza disciplinare, l'assenza ingiustificata dal servizio presuppone necessariamente che il lavoratore abbia omesso di recarsi sul luogo di lavoro e prestare il servizio in un giorno lavorativo in cui avrebbe dovuto rendere l prestazione; non in un giorno festivo in cui non avrebbe dovuto, e neanche potuto, recarsi al lavoro ed eseguire la sua prestazione.
Il ritardo nel richiedere il rilascio del secondo certificato medico può eventualmente essere giudicato, di per sé, un inadempimento del lavoratore, ma non può certo essere una base su cui costruire artificiosamente una impossibile "assenza" del lavoratore dal servizio, che peraltro non può ritenersi sussistente in un giorno festivo in cui non avrebbe dovuto, e neanche potuto, recarsi al lavoro ed eseguire la sua prestazione.
Sebbene in tema di illeciti disciplinari del personale scolastico sia legittimo formulare un giudizio valoriale di gravità delle condotte addebitate al docente e di proporzionalità della sanzione espulsiva, deve ritenersi effettuata in modo erroneo e in contrasto con i pertinenti parametri normativi e contrattuali la valutazione in concreto della gravità del fatto, al fine del giudizio sulla proporzionalità della sanzione del licenziamento, considerando, come indice della gravità della condotta, la mancata corretta comunicazione delle assenze dal servizio (peraltro male conteggiate) senza alcun riferimento all'elemento soggettivo del comportamento.
Premessa
La Corte di Cassazione (Sez. Lav., 4 aprile 2024, n. 8956) ha affermato che l’assenza dal servizio senza una valida giustificazione presuppone che il lavoratore non si sia presentato al lavoro e abbia omesso di rendere la prestazione lavorativa in un giorno in cui avrebbe dovuto farlo. Nell'accogliere il ricorso della dipendente ha ritenuto errata l'interpretazione che i giudici di merito hanno dato alla disposizione di legge per aver considerato come giorno di assenza ingiustificato anche la domenica, che costituiva il quarto giorno di assenza ingiustificata nel biennio, ovverosia un giorno in cui il servizio scolastico non viene prestato e la dipendente non avrebbe dovuto, né potuto, recarsi al lavoro.
La vicenda processuale
La fattispecie riguarda una dipendente che all’esito di un procedimento disciplinare è stata licenziata per assenza ingiustificata in applicazione dell'art. 55-quater, lett. b, del D.Lgs. n. 165 del 2001.
La dipendente, dopo la presentazione di un primo certificato medico che attestava la malattia fino a sabato 27/10/2018, ha presentato un secondo certificato medico in data 30/10/2018 attestante la continuazione della malattia, di conseguenza erano rimasti scoperti due giorni: domenica 28 ottobre e lunedì 29 ottobre.
L'istituzione scolastica sul presupposto che la dipendente, nel corso del biennio di riferimento, aveva fatto in precedenza due giorni di assenza arbitraria, sommando questi due giorni di assenza arbitraria a quelli successivi di domenica 28 ottobre e lunedì 29 ottobre, per complessivi 4 giorni, ha disposto il licenziamento disciplinare ritenendo che si fosse realizzata la fattispecie prevista dell'art. 55-quater, lett. b, del D.Lgs. n. 165 del 2001 che prevede il licenziamento per assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio.
Il problema sta nell'errore della scuola per avere contestato come assenza arbitraria anche la domenica, cioè un giorno festivo in cui il dipendente non è tenuto alla prestazione lavorativa.
L'interessata ha proposto ricorso al giudice del lavoro negando l'addebito con riferimento a tre giornate di assenza e, comunque, la proporzionalità della sanzione terminativa applicata rispetto alla gravità dell'illecito disciplinare contestato.
Sia il Giudice di primo grado che la Corte di Appello hanno ritenuto legittimo il provvedimento di licenziamento per assenza ingiustificata dal servizio per quattro giorni e, quindi, «per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio». secondo quanto previsto dall'art. 55-quater, lett. b, del D.Lgs. n. 165 del 2001.
In particolare, la Corte di Appello nel respingere il ricorso riteneva confermato l’addebito mosso alla lavoratrice e proporzionata la sanzione espulsiva applicata, considerata la gravità dell’illecito disciplinare contestato.
Avverso tale decisione la lavoratrice ha proposto ricorso per Cassazione, articolando la propria difesa in due motivi, negando la sussistenza dell’addebito e giudicando la sanzione applicata non proporzionata.
La domenica non può essere considerata un giorno di assenza ingiustificata
La dipendente con il primo motivo di ricorso denunciava "violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dell'art. 55-quater, lett. b, del D.Lgs. n. 165 del 2001". In particolare, la ricorrente nega l'esistenza stessa della fattispecie astratta dell'illecito disciplinare contestatole ("assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio"), in quanto contesta che sussista l'assenza ingiustificata con riferimento a tre dei quattro giorni indicati nel provvedimento di licenziamento.
La Corte rispetto a questo primo motivo ha affermato che «poiché la sanzione del licenziamento è prevista dalla norma di legge, che si assume violata, nel caso di cumulo, nell’arco temporale previsto, di più di tre giorni di assenza ingiustificata, l’errata contestazione dell'addebito con riferimento anche ad uno solo dei quattro giorni menzionati nel provvedimento disciplinare è sufficiente per determinarne l’illegittimità del provvedimento di licenziamento.
La corte in particolare ha rilevato un palese errore presente nella contestazione per essere stato contestato, come giorno di assenza, anche una domenica, ossia un giorno in cui il servizio scolastico non viene prestato e la dipendente non avrebbe dovuto, né potuto, recarsi al lavoro.
In sede istruttoria nel giudizio davanti alla Corte d'Appello era stato accertato che la dipendente, dopo la presentazione di un primo certificato medico che attestava la malattia fino a sabato 27/10/2018, ha presentato un secondo certificato medico in data 30/10/2018 attestante la continuazione della malattia, di conseguenza erano rimasti scoperti due giorni: domenica 28 ottobre e lunedì 29 ottobre.
Dalla giusta considerazione che, in caso di continuazione di malattia, il nuovo certificato medico deve essere chiesto dal lavoratore nel primo giorno successivo a quello di scadenza del primo certificato, anche se si tratta di un giorno festivo, la Corte di Appello ha tratto l'errata conseguenza che anche la domenica potesse essere contestata, sul piano disciplinare, come giorno di assenza ingiustificata dal servizio.
Ma è di tutta evidenza, osserva la Corte di cassazione, che, ai fini della rilevanza disciplinare, l'assenza ingiustificata dal servizio presuppone necessariamente che il lavoratore abbia omesso di recarsi sul luogo di lavoro e prestare il servizio in un giorno lavorativo in cui avrebbe dovuto rendere l prestazione; non in un giorno festivo in cui non avrebbe dovuto, e neanche potuto, recarsi al lavoro ed eseguire la sua prestazione.
Il ritardo nel richiedere il rilascio del secondo certificato medico potrà eventualmente essere giudicato, di per sé, un inadempimento del lavoratore, ma non può certo essere una base su cui costruire artificiosamente una impossibile "assenza" del lavoratore dal servizio ... che non c'è.
Sul giudizio di proporzionalità in concreto del licenziamento disciplinare
Con il secondo motivo la ricorrente - premesso che la sanzione disciplinare del licenziamento non può essere comminata in modo automatico in base alla semplice corrispondenza tra fattispecie astratta e fattispecie concreta, ma richiede sempre un "giudizio di proporzionalità in concreto" (Corte cost. n. 123/2020) - sostiene che la Corte d'Appello non avrebbe di fatto svolto tale giudizio in concreto, essendosi limitata a riconsiderare, come profili di gravità, gli stessi elementi costitutivi dell'illecito.
La Corte ha ritenuto fondato anche questo secondo motivo per le ragioni di seguito esposte.
È bene innanzitutto ricordare l'orientamento consolidato di questa Corte (richiamato di recente da Cass. n. 10236/2023) secondo cui le nozioni legali di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo richiedono, al pari di ogni altra clausola generale, di essere specificate in via interpretativa, allo scopo di adeguare le norme alla realtà articolata e mutevole nel tempo. È stato evidenziato, in particolare, che il giudizio espresso sulla gravità dell'infrazione ai fini della sussunzione nelle ipotesi legali di giusta causa o giustificato motivo soggettivo, in quanto fondato su norme di legge che si limitano ad indicare un parametro generale di contenuto elastico, presuppone un'attività di interpretazione giuridica delle norme stesse, attraverso la quale si dà concretezza alla parte mobile delle disposizioni per adeguarle ad un determinato contesto storico - sociale.
Detto giudizio di valore svolge una funzione integrativa delle regole giuridiche e, quindi, è soggetto al controllo della Corte di Cassazione, perché le specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge. Il discrimine tra giudizio di fatto e giudizio di diritto va, dunque, individuato tenendo conto della distinzione tra "ricostruzione storica (assoggettata ad un mero giudizio di fatto) e giudizi di valore, sicché ogniqualvolta un giudizio apparentemente di fatto si risolva, in realtà, in un giudizio di valore, si è in presenza d'una interpretazione di diritto, in quanto tale attratta nella sfera d'azione della Corte Suprema" (Cass. n. 6501/2013, richiamata, fra le tante, da Cass. nn. 4125/2017Se ne è tratta la conseguenza che se, da un lato, spetta unicamente al giudice del merito accertare se i fatti addebitati al lavoratore rivestano il carattere di grave negazione degli elementi fondamentali del rapporto ed in specie di quello fiduciario e siano tali da meritare il recesso con o senza preavviso, dall'altro lato, esula dal vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., e ricade nella diversa ipotesi della falsa applicazione di norme di diritto, la censura con la quale si addebiti alla sentenza impugnata di avere escluso la gravità dell'inadempimento sulla base di un'errata interpretazione della disciplina di legge e di contratto e si assuma che la condotta, ricostruita nei termini indicati dal giudice del merito, è idonea a giustificare il recesso dal rapporto, perché riconducibile alle nozioni legali, come enunciate dalla Corte di legittimità. Lo stesso principio si applica per il caso in cui il giudice del merito sulla base di un'errata interpretazione della disciplina di legge e di contratto abbia affermato la sussistenza di una giusta causa di recesso mentre, al più, potrebbe essere applicabile una sanzione conservativa (arg. ex Cass. nn. 11665/2022Inoltre, è stato precisato che in tema di illeciti disciplinari del personale scolastico il giudice del merito è tenuto comunque a formulare un giudizio valoriale di gravità delle condotte addebitate al docente e di proporzionalità della sanzione espulsiva, operando un giudizio di sussunzione della condotta in fatto ricostruita nell'ambito dell'uno o degli altri illeciti disciplinari sia in caso di previsioni di fonte legale che correlano le sanzioni a condotte in parte assimilabili tra loro, salvo l'elemento della maggiore o minore gravità, sia in caso di previsione di condotte non conformi ai doveri specifici inerenti alla funzione, e che quindi denotino l'incompatibilità a svolgere i compiti del proprio ufficio nell'esplicazione del rapporto educativo (Cass. n. 30955/2022).
L'addebito mosso alla sentenza impugnata con il secondo motivo di ricorso è proprio quello di avere affermato la sussistenza di una giusta causa di licenziamento ricorrendo a parametri incongrui e di non avere effettuato il necessario giudizio di proporzionalità in concreto della sanzione rispetto all'illecito contestato.
Ebbene, formalmente la Corte territoriale non ha messo in discussione il principio per cui è da "escludere qualunque sorta di automatismo" e occorre invece apprezzare le circostanze particolari che rendono proporzionata, nel caso concreto, la sanzione disciplinare espulsiva (Cass. nn. 18858/2016Si può ben dire che, in tal modo, la valutazione in concreto della gravità del fatto, al fine del giudizio sulla proporzionalità della sanzione del licenziamento, è stata effettuata in modo erroneo e in contrasto con i pertinenti parametri normativi e contrattuali, considerandosi come indice della gravità della condotta la mancata corretta comunicazione delle assenze dal servizio (peraltro male conteggiate, come si è detto), senza alcun riferimento all'elemento soggettivo del comportamento e quindi individuando come comportamento meritevole del licenziamento per giusta causa quello della mancata presentazione della domanda per le assenze in modo regolamentare, senza tuttavia neppure specificare nulla di decisivo sulla proporzionalità della sanzione.
Mentre, come è noto, per costante indirizzo di questa Corte, per il licenziamento tanto più per giusta causa, la valutazione sulla gravità dell'inadempimento e sulla proporzionalità della sanzione rispetto all'addebito contestato deve essere espressa tenendo conto, da un lato, dei profili oggettivi e soggettivi della condotta, dall'altro delle caratteristiche proprie del rapporto in relazione al quale va valutata la possibilità o meno della prosecuzione (Cass. n. 10236/2023Per tutte le indicate ragioni il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d'Appello, in diversa composizione, perché decida anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, attenendosi al seguente principio di diritto: "l'assenza dal servizio priva di valida giustificazione rilevante ai fini dell'art. 55-quater, lett. b, del D.Lgs. n. 165 del 2001 presuppone che il lavoratore non si sia presentato al lavoro e abbia omesso di rendere la prestazione lavorativa in un giorno in cui avrebbe dovuto farlo e, dunque, non può sussistere nel caso in cui si tratti di un giorno festivo, in cui il lavoratore non aveva l'obbligo di recarsi al lavoro, a prescindere dalla mancanza di una valida giustificazione per l'assenza dal servizio nelle giornate immediatamente precedenti e successive al giorno festivo.










