Per configurare il mobbing, o lo straining, quali comportamenti vessatori nei confronti del dipendente non è necessario che ricorra conflittualità reciproca. Infatti, a fronte di atteggiamenti ostili del lavoratore, il datore di lavoro non è certamente legittimato ad indursi a comportamenti vessatori. Egli può infatti senza dubbio esercitare i propri poteri direzionali ex art. 2104, comma 2, c.c. come anche i poteri disciplinari, ma nei limiti stabiliti dalla legge e comunque nel rispetto di un canone generale di continenza, espressivo dei doveri di correttezza propri di ogni relazione obbligatoria, tanto più se destinata ad incidere continuativamente sulle relazioni interpersonali. Canone che è certamente e comunque superato allorquando i comportamenti datoriali ricevano una qualificazione in termini di vessatorietà.
La Corte ha affermato che non è necessario il dolo per configurare un danno ex art. 2087 c.c. in quanto, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, «anche inadempimenti colposi ad obblighi datoriali che influiscano dannosamente sull'ambito psichico dei lavoratori possono integrare la responsabilità ex art. 2087 c.c.». Oltre a ciò la Corte ha affermato che, in ogni caso, tale specificazione relativa all'elemento soggettivo è ininfluente quando i comportamenti datoriali sono stati qualificati come "vessatori" e quindi destinati ad opprimere deliberatamente l'altrui persona, integrando di per sé l'individuazione di un palese coefficiente intenzionale.
La Corte di Cassazione ha, quindi, rigettato il ricorso affermando che «non è vero che per configurare il mobbing (o lo straining) quali comportamenti vessatori nei confronti del dipendente sia necessario che non ricorra conflittualità reciproca. Infatti, a fronte di atteggiamenti ostili del lavoratore, il datore di lavoro non è certamente legittimato ad indursi a comportamenti vessatori Egli può infatti senza dubbio esercitare i propri poteri direzionali ex art. 2104, comma 2, c.c. come anche i poteri disciplinari, ma nei limiti stabiliti dalla legge e comunque nel rispetto di un canone generale di continenza, espressivo dei doveri di correttezza propri di ogni relazione obbligatoria, tanto più se destinata ad incidere continuativamente sulle relazioni interpersonali. Canone che è certamente e comunque superato allorquando i comportamenti datoriali - ovverosia proprio della parte che nell'ambito del rapporto si pone in posizione di supremazia in quanto titolare del potere di dirigere i propri dipendenti - ricevano una qualificazione in termini di vessatorietà».
Corte di Cassazione Sez. Lav. 12 luglio 2019, n. 18808