Il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che non si avvalga del permesso previsto dall'art. 33 L. 104/92, in coerenza con la funzione dello stesso, ossia l'assistenza del familiare disabile, integra un abuso del diritto in quanto priva il datore di lavoro della prestazione lavorativa in violazione dell'affidamento riposto nel dipendente ed integra, nei confronti dell'Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un'indebita percezione dell'indennità ed uno sviamento dell'intervento assistenziale.
La fattispecie attiene al licenziamento per giusta causa intimato ad una lavoratrice per abuso dei permessi di cui alla Legge 104/92, che aveva utilizzato i giorni di permesso anche per frequentare dei corsi di formazione sul malato neurologico tesi ad una migliore assistenza del padre, affetto dal morbo di Alzheimer.
La Corte di Cassazione ha ricordato che i permessi di cui alla Legge 104/92 sono riconosciuti al lavoratore in ragione dell'assistenza al disabile e in relazione causale diretta con essa, «senza che il dato testuale e la "ratio" della norma ne consentano l'utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per detta assistenza» (Cass. n. 1394 del 2020, Cass. n. 21529 del 2019, Cass. n. 8310 del 2019, Cass. n. 17968 del 2016, Cass. n. 9217 del 2016 e Cass. n. 8784 del 2015).
In particolare, l'assistenza al disabile può essere prestata con modalità e forme diverse, «anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, o pratiche di qualsiasi genere, purché nell'interesse del familiare assistito» (Cass. Ord. n. 23891 del 2018). Al contrario, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto, ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell'ente assicurativo, nel caso in cui tale beneficio venga utilizzato per attendere ad esigenze estranee agli interessi del parente disabile. Nel caso di specie la Suprema Corte ha accertato che la lavoratrice aveva utilizzato un numero di ore ben oltre quelle del suo orario di lavoro all'assistenza e all'accudimento del padre e che, «se anche non si riteneva di includere nel concetto di "assistenza in senso lato" l'incontro di formazione/informazione sul malato neurologico frequentato nel pomeriggio del giorno 27 ottobre» non si poteva in ogni caso ritenere provato che la stessa «avesse utilizzato i permessi per svolgere solo o prevalentemente attività nel proprio interesse».
Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla società che aveva disposto il licenziamento della dipendente per abuso del diritto al permesso, escludendo che si fosse verificato un utilizzo dei permessi «in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per l'assistenza, avendo accertato - in ogni caso - la prestazione di effettiva e prevalente assistenza a favore del padre disabile».
Corte di Cassazione, Sez. Lav. ord. 26 ottobre 2020, n. 23434