La Sesta Sezione del Consiglio di Stato con sentenza del 2 gennaio 2018 ha affermato, tra l’altro, che “Se in linea generale il principio tradizionale affermato dall’Adunanza plenaria con la decisione 15 settembre 2005 n. 7 era nel senso che l’intervenuto riconoscimento, da parte dell'amministrazione pubblica, di aver pronunciato in ritardo su alcune istanze non comporta, per ciò solo, l'affermazione della sua responsabilità per danni, ancora di recente la giurisprudenza (anche della sezione: cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI 10 luglio 2017 n. 3392) ha ricordato che per « danno ingiusto » risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l'equivalente economico.

In materia, quindi, va ribadito (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. IV 30 giugno 2017 n. 3222) che la pretesa risarcitoria, relativa al danno da ritardo, deve essere ricondotta allo schema generale dell'art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell'onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell'illecito, con l'avvertenza che, nell'azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall'art. 2697 comma 1, c.c., opera con pienezza, e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento.

In tale contesto va ritenuto in astratto possibile configurare un danno da ritardo, derivante dall'incertezza illegittimamente causata sul modo in cui regolarsi nell'attesa che l'amministrazione si pronunci sulla stessa spettanza del bene della vita: anche in tali fattispecie, infatti, è possibile configurare l'esistenza della lesione, che comunque andrebbe rigorosamente provata, di un interesse economicamente rilevante. Tale prospettazione, peraltro, è preliminare e distinta rispetto a quella con cui si domandi il risarcimento di un danno emergente e di un lucro cessante pieni ed attuali, rispetto all’illegittimo diniego adottato dall’amministrazione avverso l’iniziativa privata. Se ciò nel caso di specie comporta l’assenza del ne bis in idem, per ciò solo non esime dalla necessaria prova degli elementi concernenti la sussistenza della fattispecie risarcitoria.....In proposito va ribadito (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI 30 dicembre 2014 n. 6428) che anche nel giudizio di equità la norma dell'art. 2697 Cod. civ. rappresenta un principio informatore del risarcimento dei danni, con la conseguenza che qualsiasi vicenda di danno lamentato da chi agisce in giudizio per il risarcimento debba essere provata dal danneggiato, sia pure con ogni mezzo, ivi comprese le allegazioni e le presunzioni semplici, fermo restando che la relativa articolazione va dimostrata nello specifico del caso concreto, cioè caso per caso, e non fatto discendere in via generale ed astratta quale conseguenza connessa automaticamente all'evento”.