Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, sia nell'ipotesi in cui tale attività esterna sia sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, sia nel caso in cui la medesima attività possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio. ,
La suprema Corte ha chiarito che non sussiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto per il dipendente di prestare attività lavorativa, anche a favore di terzi, durante il periodo di assenza per malattia.
Siffatto comportamento può, tuttavia, costituire giustificato motivo di recesso da parte del datore di lavoro ove integri una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà. Ciò può avvenire quando lo svolgimento di altra attività da parte del dipendente assente per malattia sia di per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza dell'infermità addotta a giustificazione dell'assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, o quando l'attività stessa - valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche della infermità denunciata, nonché alle mansioni svolte nell'ambito del rapporto di lavoro - sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del dipendente, con violazione di un'obbligazione che la dottrina inserisce nella categoria dei doveri preparatori e strumentali rispetto alla corretta esecuzione del contratto.
Corte di Cassazione Sez. Lav. 30 ottobre 2018, n. 27656