L’art. 37, comma 12, del D.Lgs. n. 81/2008, nella parte in cui prescrive che la formazione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro deve avvenire “durante l’orario di lavoro”, va interpretato nel senso che tale locuzione sia comprensiva anche dell’orario relativo a prestazioni esigibili al di fuori dell’orario di lavoro ordinario, di legge o previsto dal contratto collettivo, per i lavoratori a tempo pieno, e di quello concordato, per i lavoratori a tem po parziale, con conseguente illegittimità del rifiuto del lavoratore di svolgere la formazione fuori dai propri turni di lavoro e legittimità del conseguente provvedimento datoriale di messa in aspettativa non retribuita per impedimento all’utilizzo delle relative prestazioni Nel caso di specie, un dipendente agiva in giudizio chiedendo al Giudice di accertare l’obbligo del datore di lavoro di organizzare la formazione in materia di salute e sicurezza durante il proprio orario di lavoro, di dichiarare legittimo il rifiuto del dipendente di partecipare a corsi organizzati in violazione di tale obbligo, nonché di dichiarare la nullità del conseguente provvedimento datoriale di collocamento in aspettativa non retribuita. Le domande del lavoratore venivano rigettate integralmente sia in primo che in secondo grado. La Corte d’appello, in particolare, motivava la propria decisione sul rilievo che, ai sensi di legge, sussiste in capo al lavoratore l’obbligo di effettuare la formazione nell’orario a tal fine stabilito dalla società, dovendosi qualificare tale partecipazione - anche ai f ini della relativa remunerazione - come lavoro straordinario, esigibile dalla società, nella misura in cui sia svolta al di fuori dell’orario dal medesimo normalmente seguito. Ciò tenuto conto che l’art. 37, c. 12, D.Lgs. 81/2008 non impone alcun obbligo per il datore di organizzare i corsi di formazione durante il turno o l’orario normale di lavoro di ogni dipendente, ma lo invita a tenere conto di tali circo stanze «compatibilmente con le esigenze aziendali». Per l’annullamento di tale sentenza proponeva ricorso alla Suprema Corte il lavoratore, lamentando la violazione dell’art. 37, c. 12, D.Lgs. 81/2008, nonché della nozione di orario di lavoro ex art. 5 del D.Lgs. 66/2003. A fronte di tali censure, la Cassazione ha rigettato il ricorso, pronunciandosi come da massima e rilevando come - di versamente da quanto ritenuto dal ricorrente - l’art. 37, c. 12, D.Lgs. 81/2008, nel richiedere che il datore di lavoro organizzi la formazione «durante l’orario di lavoro», faccia, in realtà, riferimento a una nozione di orario comprensiva di «ogni periodo in cui venga prestata attività di lavoro e quindi anche di attività prestata in orario eccedente quello ordinario o “normale”». Sotto altro profilo, la previsione di legge secondo cui l’organizzazione dei corsi di formazione deve avvenire senza «oneri economici a carico dei lavoratori», conferma implicitamente la «possibilità di richiedere che la formazione avvenga in orario corrispondente a prestazioni di lavoro esigibili oltre l’orario normale, fermo restando, sotto il profilo della relativa remunerazione, l’applicazione delle prescritte maggiorazioni». Perciò, dunque, la Corte ha ritenuto che il rifiuto opposto dal lavoratore allo svolgimento della formazione fosse contrario ai doveri di collaborazione e partecipazione previsti dal D.Lgs. 81/2008, reputando invece giustificato il provvedimento datoriale di messa in aspettativa non retribuita, anche a fronte di una potenziale responsabilità della società ex art. 2087 cod. civ. e del carattere recessivo dell’interesse fatto valere dal dipendente rispetto a quelli tutelati dal legislatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Corte di Cassazione Sez. Lav., ord. 10 maggio 2024, n. 12790