In tema di dimissioni del lavoratore, in assenza dei provvedimenti attuativi di armonizzazione, non trova applicazione al pubblico impiego contrattualizzato la disciplina di convalida trattandosi di disciplina modulata sulle dinamiche del lavoro privato, fermo restando l'obbligo per il datore di lavoro pubblico di conformarsi ai principî costituzionali di legalità e imparzialità.

L'amministrazione, dunque, non può rigettare l'istanza del dipendente di dimissioni, ma si deve limitare ad accertare che non esistano impedimenti legali alla risoluzione del rapporto. In tal senso anche Consiglio di Stato, Ad. PI., 29 dicembre 2000, n. 17 e Consiglio di Stato, sez. IV, 2 novembre 2009, n. 6790 secondo cui nel pubblico impiego privatizzato non sussiste la necessità dell'accettazione delle dimissioni da parte della p.a., quale elemento di completamento della fattispecie complessa prevista dall'art. 124 del T.U. n. 3 del 1957, il cui comma 3 dispone che "L'impiegato che ha presentato le dimissioni deve proseguire nell'adempimento dei doveri di ufficio finchè non gli venga comunicata l'accettazione delle dimissioni": l'inapplicabilità di tale norma consegue al fatto delle sopravvenute discipline pattizie e della loro portata derogatoria rispetto alla previgente legge del 1957, secondo il meccanismo del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 2, comma 2.

Il principio è stato ribadito anche da Cass. 21 novembre 2018, n. 30126 che, proprio per l'affermata necessità di accertare esclusivamente l'intento risolutorio del soggetto che ha posto in essere il negozio, ha affermato che deve essere particolarmente rigorosa l'indagine diretta ad accertare che, da parte del lavoratore, sia stata effettivamente manifestata in modo univoco l'incondizionata e genuina volontà di porre fine al rapporto (nella specie, non risulta che l'atto di dimissioni de quo sia stato impugnato per essere frutto di un presupposto erroneo convincimento).

E' stato, altresì, affermato (v. Cass. 10 febbraio 2009, n. 3267) che, proprio in ragione dell'effetto immediato di tali dimissioni, la successiva revoca è inidonea ad eliminare l'effetto risolutivo già prodottosi, restando peraltro salva la possibilità, per le parti, in applicazione del principio generale di libertà negoziale, di porre nel nulla le dimissioni con la conseguente prosecuzione a tempo indeterminato del rapporto stesso, e con l'onere, in tal caso, di fornire la dimostrazione del raggiungimento del contrario accordo, a carico del lavoratore (nel caso in esame, una tale evenienza non è stata giammai prospettata).

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